Rino Mele
Salerno, nella morte di Pino Cantillo, uno dei suoi cittadini migliori, ha ritrovato una corrusca luce, il colore della propria anima che aveva perduto (dimenticandosi perfino di avere un’anima). La città ha risposto a questa mancanza improvvisa con un forte dolore collettivo, corale, diverso da quello tenero e intenso ma individuale e privato: Salerno si è immediatamente disorientata, ha compreso, nelle sue varie stratificazioni sociali, che non c’era più quel cittadino, quasi unico, sempre disposto a dire la verità, a cercarla. “La vita è un’orchestra che suona sempre” ha scritto nel 2005 José Saramago, “intonata, stonata, un piroscafo Titanic che affonda sempre e sempre torna in superficie, ed è allora che la morte pensa che si ritroverebbe senza sapere cosa fare se la nave affondata non potesse mai più risalire”. La morte e la vita, sembra dire Saramago, sono nello stesso mare e hanno lo stesso volto. Una nave molto grande è una città, e il mare che la contiene si rimpicciolisce e sembra un lago. Ora che Pino Cantillo non c’è più, gli abitanti di quest’immensa struttura si siano stretti alle pareti della nave, lasciando uno spazio al centro solo per lui che non risponde più. Pino Cantillo è stato un testimone della verità, come filosofo, come cittadino, come amministratore. Era il suo modo di stare con gli altri, quello di portare luce, ascoltando, chiedendo all’interlocutore di ripensare il suo discorso sempre nella prospettiva della logica e della ragione: lo dice Platone nel sesto libro de “La Repubblica”: che l’uomo “onesto e virtuoso” deve farsi guidare, in primo luogo, dalla verità. E si capiva subito, parlando con Pino Cantillo, che amasse la verità e che di essa faceva lo scopo della sua attività di studioso, di cittadino. Ora non avremo più il suo insegnamento di vita, eppure sappiamo che possiamo chiedergli di parlarci ancora. Avremo, oggi ancora di più, bisogno della sua onestà di pensiero, del valore etico del suo impegno politico, del suo entusiasmo pacato, razionale, del suo saper scrutare il buio e trarne la necessità di una visione nuova.
Sapremo ricordare la sua voce? In un intenso saggio (“Irrazionalità e morte”1985) Carlo Sini ci ricorda che “sostanzialmente si muore agli altri” – ed è un concetto già contenuto nel pensiero di Gentile – e che la morte, così legata all’individuo, è soprattutto la rottura di un tessuto di cui siamo parte. Mi piace terminare queste parole su Pino Cantillo – uomo carissimo e luminoso, necessario al sapere filosofico e alla nostra comunità politica – con le parole di Socrate vicino a morire, nel dialogo con Cebete: “Ogni piacere e ogni dolore, come se avesse un chiodo, inchioda e fissa l’anima nel corpo, la fa diventare quasi corporea e le fa credere che sia vero ciò che il corpo dice essere vero”.
Continueremo a parlare con Pino Cantillo, a chiedergli ragione delle aporie politiche, le sofferenze per il lavoro sottratto, le incongruenti e taglienti ombre del violento dissimulare la verità.