Il 23 marzo il Conservatorio “G.Martucci” concorrerà insieme ad altre istituzioni all’esecuzione dello Stabat Mater di Pergolesi e della Sinfonia al Santo Sepolcro di Vivaldi presso la Kensington United Reformed Church di Londra
Di Olga Chieffi
Fatto di una molteplicità della quale non conosciamo la somma, non sappiamo integrarla in un suono, in un senso, lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi rappresenta tutto il pianto del mondo. Una Madonna consapevole quella ai piedi della Croce che soffre come nel momento del parto, dolori che solo le madri sanno sopportare, per dare alla luce il Figlio, nella massima espressione di Fede e di Preghiera. E’ il nostro barocco, il barocco di scuola napoletana che sbarcherà a Londra, presso la Kensington United Reformed Church, con un progetto composito, del Martucci, unitamente alla London Performing Academy of Music, ai Conservatori di Musica di Avellino, Castelfranco Veneto, Cremona e Parma, coordinato da Ernesto Pulignano, che vedrà l’ Erasmus Consortium Ensemble con voci soliste Concetta Pepere e Claudia Marchi, Pierfrancesco Borrelli, in giusta veste di clavicembalista e direttore, e Stefano Canazza all’organo, mentre l’ensemble schiera: Fulvio Artiano, Mario Petacca, Mauro Tamburo, Paola Tessarollo, Matteo Bortolotto, Alessandro Siniscalco, Nikita Vikhorev, al violino, Francesco Venga, Giuditta Marcolin, Sam Teale, alla viola, Valentino Milo, Paolo Tomasini, Ludovica Ventre, al cello e Vincenzo Bruschi al contrabbasso. Flussione, fluttuazione che sembra voler affondare il pathos del cigno di Jesi, venuto nel secolo dei lumi, ma già preludio ad un romanticismo che smantellerà le certezze armoniche, in una visceralità emotiva che non è solo la disposizione di noi uomini del Sud a vivere i sentimenti ma una vera e propria cultura, antichissima, che da Saffo arriva fino a noi. L’ opera, per soli e strumenti sarà eseguita dal soprano Concetta Pepere e dal contralto Claudia Marchi. Lo Stabat Mater viene da sempre considerato, il testamento spirituale di Pergolesi. In questa opera emerge la bellezza pura, malinconica ma non drammatica, che risplende in tutta la sequenza, quasi come se Pergolesi vi si fosse rispecchiato ed avesse ritrovato gli accenti più veri del suo dolore in quel canto, sincero e profondamente sentito. È una musica non pretenziosa, si direbbe umile, dove sono eliminati ogni sorta di virtuosismo esteriore fine a sé stesso ed ogni sorta di artificio superfluo e ridondante. A distanza di ben 290 anni dalla composizione, le innovazioni trovano una unitaria compostezza in questa pagina di Pergolesi: ciò avviene da un punto di vista stilistico grazie all’approdo ad una prospettiva più squisitamente sentimentale, la celebrata Teoria degli affetti, incentrata sul pathos del testo sacro e, da un punto di vista tecnico-compositivo, grazie all’alleggerimento degli austeri toni presenti nella versione scarlattiana. Tutto questo non implica un completo abbandono delle forme tipiche della tradizione sacra – presente per esempio nei richiami arcaicizzanti di alcuni passaggi del “Fac, ut ardeat cor meum” – ma esse si compendiano in un perfetto bilanciamento con i drammatici trilli del “Cujus animam gementem” o nell’interpretazione dei toni dell’anima con il “Fac me vere tecum flere”. Tutto sorregge il canto ed è funzionale al risplendere delle due voci femminili, e già dall’introduzione si delinea un clima commovente e malinconico, la musica prende vita forma e ha il compito di far percepire la terra, il terreno, come un principio di assorbimento e, insieme di nascita: abbassando, si seppellisce e si semina, e, nel medesimo tempo, si dà la morte per poi ridare nuova luce, nuova vita. Il concerto sarà sigillato dall’esecuzione della Sinfonia in si minore RV 169 «Al Santo Sepolcro» di Antonio Vivaldi, datato 1730. La sua struttura, formata da un Adagio e una Fuga, è piuttosto anomala nella produzione vivaldiana, nella quale il contrappunto è sempre un elemento secondario dell’invenzione. Il movimento introduttivo crea un’atmosfera di sospensione, che riesce nello stesso tempo a esprimere raccoglimento religioso e forte attesa per un evento imminente. Da notare il rifiuto del basso continuo: Vivaldi si premura di precisare “Senza Organi o Cembali”, quasi a voler prendere le distanze da certi effetti di fascino sonoro che potevano generarsi dall’impiego del basso continuo come fattore propulsivo della discorsività musicale. Tutta la tensione sfocia nell’Allegro ma poco, il quale tesse con lenta sofferenza una fuga nella quale convivono due soggetti cromatici di natura opposta: uno ascendente e l’altro discendente. Questa scelta ha certamente qualcosa di icastico, nella sua capacità di incrociare temi che si muovono in direzione opposta, proprio come gli elementi strutturali della Croce, simbolo della Passione di Cristo.