La libertà della Nouvelle Vague - Le Cronache
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La libertà della Nouvelle Vague

La libertà della Nouvelle Vague

Taglio del nastro ieri mattina per la mostra dedicata ai due fotografi che hanno vissuto quest’ epoca a fianco di François Truffaut e Jean-luc Godard. Colpisce nel segno ancora una volta l’Associazione Tempi Moderni di Marco Russo leggendo il periodo attraverso le diverse arti, dalla musica alla pittura, alla parola

 

di Olga Chieffi

Da ieri sino al 13 novembre, palazzo Fruscione si trasformerà in Maison Nouvelle Vague, per un discorso sul cinema di questo periodo particolare di rottura, estremamente stimolante, provocatorio, anticonformistico, che come ogni scintilla rivede posizioni acquisite, proponendo nuovi canoni interpretativi, cercando di individuare nell’opera di quanti abbiano operato prima nella settima arte, senza tradirli, una “scrittura” totalmente personale. Marco Russo, con la sua associazione “Tempi Moderni”, affiancato da Alfonso Amendola e Maria Paola Cioffi, si sono affidati agli obiettivi di Raymond Cauchetier e Douglas Kirkland, rispettivamente sui set dei grandi registi della Nouvelle Vague, nei loro massimi titoli. Era il 1959, a Cannes vince Orfeo negro di Marcel Camus, il premio per la miglior regia va a “I 400 colpi” di François Truffaut, mentre “Hiroshima, mon amour” di Alain Resnais vi suscitò polemiche e scandali. La cosiddetta nouvelle vague si impose così, determinando in larga misura i temi e le forme di gran parte della produzione cinematografica del decennio successivo. Se non fu una rivoluzione così radicale come quella del neorealismo italiano, il quale in prospettiva, appare forse meno rivoluzionario di quanto si credette allora, la nouvelle vague fu certamente un modo di usare il cinema come strumento di rivoluzione del reale, al di fuori delle regole codificate, in termini ben più diretti e personali. Marco Russo, che si è regalato questo vernissage per il suo genetliaco, è stato Cicerone d’eccezione per i primi visitatori che hanno fruito della mostra sulle pareti di Palazzo Fruscione, a cominciare dal primo cittadino Enzo Napoli, seguito dal delegato alla cultura Ermanno Guerra e dalla consigliera Antonia Willburger, unitamente ad Andrea Prete, Presidente della Camera di Commercio. Raymond Cauchetier col suo obbiettivo ci catapulta sui set di Truffaut A volte le immagini cinematografiche che più ci restano in testa non provengono dai film stessi. Una delle sue foto più famose è quella di Jean Seberg, a bocca aperta in una risata a trentadue denti, che cammina lungo gli Champs-Elysées insieme a un allampanato Jean-Paul Belmondo in Fedora. Questa è diventata la tanto amata immagine del poster di À bout de souffle (Breathless, 1960) di Jean-Luc Godard, ma non è del film, e nemmeno di una foto: è stata girata tra una ripresa e l’altra. Sul set, Cauchetier non catturava semplicemente le immagini più vicine a quelle del film, ma catturava l’azione fuori campo, i momenti estemporanei che esemplificavano lo spirito dei film e il modo in cui sono realizzati. Dato che alcuni di questi lavori sono stati gli esordi di registi ancora alla ricerca del proprio stile, è notevole come le foto di Cauchetier colgano perfettamente l’essenza dei lavori che sarebbero emersi: Seberg e Belmondo per strada o in camera da letto, l’erotismo fantastico delle sequenze del bar a Lola. L’eccitazione dell’epoca è catturata anche dallo scatto di Cauchetier della famosa corsa di Jules e Jim, con Jeanne Moreau e le sue co-protagoniste che corrono a tutto gas. Cauchetier si comporta come un fotografo di guerra, arrivando a rivelare i metodi, anche quelli meno ortodossi, come la cinepresa sulla soglia di un balcone o la troupe sui tetti di Parigi con la sua Rolleiflex impugnata sui in Indocina nel 1951 e mai più abbandonata, per quindi diventare fotografo di scena di Godard, Truffaut, Demy, Rozier e Chabrol, irrompendo prepotentemente ancora oggi nel cinema e nell’immaginario collettivo. La prima foto che scattò, invece, Douglas Kirkland fu con una fotocamera Brownie Box: sentì quel clic magico e lo portò in altri mondi, da dove provengono i sogni, in una carriera lunghissima in cui non ha disdegnato le nuove tecnologie e il digitale contemporaneo. Fotografo di scena, eccelso ritrattista, lo si lega a nomi quali Jack Nicholson, Coco Chanel, Brigitte Bardot. Qui a palazzo Fruscione più che raccontare una storia, che potrebbe essere finzione, rivela quel reale, che affascina, grazie all’imprevisto, all’inverosimile, all’impossibile al quale è legato, esattamente come il fotografo che spia l’istante di Jean Moreau, di Louis Malle, di Roberto Rossellini, nel momento in cui nasce, che rappresenta anche la responsabilità della fotografia stessa, di conservare il reale “impossibile”. A loro si affianca l’artista russa Victoria Semykina, la quale si è cimentata a far dialogare il segno pittorico e illustrativo con il cinema. Sua una sala dedicata interamente al rapporto musica ed immagini. C’è un album nella discografia di Miles Davis che si incastona tra due assoluti capolavori della musica del XX secolo, “Ascenseur pour l’échafaud”, che rappresenta un’opera di transizione e viene registrato sul finire del 1957, appena dopo “Birth Of the Cool” e pochi mesi prima dell’immenso “Kind of Blue”. Tutta la performance è improvvisata: nessun spartito guida l’esecuzione del trombettista, proprio come avverrà qualche mese più tardi per la registrazione del suo capolavoro, “Kind of Blue”. Davis suona guardando le immagini proiettate sul grande schermo, lasciandosi inspirare dallo scorrere del film, quasi codificando le nuove linee del cool jazz. La Victoria Semykina ne sposa le linee nelle dominanti nere e blu, donando alla esposizione anche un’altra sala e un video a disegni animati in cui schizza l’infanzia di Truffaut sulle musiche di Rita Marcotulli, in una sorta di raddoppiamento dell’effetto drammaturgico, in un dialogo fra immagini e suoni, in un intento di empatia dialettica fra i due diversi materiali artistici. Un progetto, “The woman next door”, che ri-applaudiremo il 30 settembre nella Sala Pasolini, senza dimenticare di partecipare ai vari talks e proiezioni che animeranno l’intero svolgimento di Nouvelle Vague al cubo.