Un luogo di alta spiritualità è la grotta dedicata all’arcangelo ad Olevano sul Tusciano, tra fedeli in processione, briganti e Lucifero sfrattato con un calcio
Di Aristide Fiore
La Grotta di S. Michele Arcangelo, a Olevano sul Tusciano è un luogo altamente simbolico, nel quale si incrociano percorsi antichi e contemporanei che ne arricchiscono l’interesse: da quello delle acque che l’hanno originata e modellata a quelli di pellegrini, fedeli in processione, briganti e escursionisti. La cavità si apre sul fianco sinistro della valle del Fiume Tusciano, a 615 m di altitudine, in mezzo ad alte pareti calcaree. Si tratta di una grande caverna originata dall’acqua nel Monte Raione (detto anche S. Elmo, corruzione di Santo Eremo) che raggiunge la larghezza massima di 50 m e l’altezza massima di 40 m, e dopo circa 200 m è interrotta da un’antica frana. A circa metà della sua estensione comunica, attraverso uno stretto passaggio, con la Grotta di Nardantuno, ovvero Leonardo Antonio, un brigante che era solito rifugiarsi lì con la sua banda, sfruttando qualche tratturo. I numerosi reperti preistorici rinvenuti dimostrano che in un lontano passato questa cavità era facilmente accessibile dall’esterno, mentre ora si spalanca su un terrazzo naturale isolato, che domina la valle. La Grotta di San Michele, invece, si può raggiungere lasciando l’auto in località Ariano, nei pressi della Centrale idroelettrica Enel, dalla quale si procede costeggiando il fiume Tusciano e poi risalendo la valle su una mulattiera lungo la quale, a mezza costa, si trova la Cella di S. Vincenzo, un piccolo convento la cui esistenza è attestata a partire dal IX secolo. La dedica del sito testimonia un legame con S. Vincenzo al Volturno. Lì vicino, su una roccia posta più in basso rispetto al sentiero, si può osservare la “ciampa del diavolo”, probabilmente una vaschetta naturale di forma tondeggiante, formata dalla corrosione del calcare da parte dell’acqua acidificata dall’anidride carbonica, lo stesso fenomeno che, a una scala maggiore, determina la formazione delle grotte. Questo curioso particolare del paesaggio è legato, come il nome lascia intuire, a una leggenda che lega la Grotta di San Michele a un antro dall’ampio ingresso ma poco esteso, situato di fronte, presso il Castrum Olibani ovvero i ruderi del castello di Olevano. Si narra infatti che quella fosse la prima grotta dell’Arcangelo, mentre quella attuale, più profonda e maestosa, apparteneva a Lucifero. Il demonio venne infine sfrattato da San Michele con un poderoso calcio e cadendo impresse la sua impronta caprina su quella roccia. L’incavo è pieno di sassolini tradizionalmente lanciati dai passanti per scongiurare malefici. Il sistema costituito dalle due cavità riveste un notevole interesse paletnolologico, archeologico e storico. Nella Grotta di S. Michele vi sono sette cappelle, la più importante delle quali presenta affreschi che si fanno risalire ai secoli VIII-XI, in uno stile vicino a quello bizantino, mentre l’utilizzo di questo complesso rupestre è attestato a partire dal secolo VII. La sequenza di edifici sacri all’interno della cavità scandisce il percorso ascensionale dei pellegrini che, seguendo la morfologia del terreno che sembra alludere a una graduale elevazione spirituale, giunti all’ultima cappella lasciavano iscrizioni graffite nell’intonaco e deponevano pietre come segno penitenziale. Infine, raggiungevano una vasca artificiale per la raccolta dell’acqua di stillicidio, ritenuta benedetta e anche miracolosa. Nell’870 il monaco Bernardo, che tornando dal pellegrinaggio in Terrasanta e diretto a Roma soggiornò presso il santuario. Nel suo resoconto scrisse di un itinerario scomodo attraverso la selva che circonda l’antro freddo e umido, nel quale è necessario muoversi con cautela e assicurarsi che il percorso sulle rocce scivolose venga illuminato da una lanterna: consigli tuttora validi. Ma il personaggio più illustre che abbia raggiunto la grotta, apprezzando la pace e la bellezza del sito, è San Gregorio VII. La tradizione ne tramanda la memoria attraverso il toponimo “giardino del Papa”, attribuito a un luogo adiacente all’ingresso della grotta, dove è ancora possibile individuare una specie di scanno intagliato nella roccia, il cosiddetto “sedile del Papa”, che si ritiene sia stato utilizzato dal pontefice che nel 1084, liberato e condotto a Salerno da Roberto il Guiscardo per salvarlo dall’eventuale arrivo a Roma delle truppe inviate dall’imperatore Enrico IV, cercò di guarire dai sui malanni in questo luogo salubre affidandosi all’ospitalità dei monaci insediati poco lontano dall’ingresso della grotta, seguendo il consiglio dei dottori della Scuola Medica Salernitana, ma non ottenne che un temporaneo ristoro, visto che morì l’anno successivo, dopo essere ritornato a Salerno, dove I suoi resti sono ancora custoditi. Il sito è ancora legato al culto micaelico: in primavera la statua dell’Arcangelo viene portata in processione per le frazioni di Olevano. La quarta domenica di Quaresima la statua dell’Arcangelo viene prelevata dalla grotta e portata a Salitto, nella Chiesa della Madonna del Soccorso. Il lunedì in albis viene trasferita a Ariano nella chiesa di San Leone Magno. Da qui passa a Monticelli, nella chiesa dedicata a S. Marco, dove rimane fino al mattino dell’8 maggio, quando la processione più partecipata la riporta nella grotta dopo aver attraversato di nuovo le principali frazioni. In quella di Cannabosto ci si ferma per riposarsi e, se necessario, rifocillarsi, mentre in una cappella viene celebrata la messa. Poi comincia l’ultima tappa del cammino, che inizia e si conclude accompagnato dai fuochi d’artificio. Il 29 settembre, festa di San Michele Arcangelo, il patrono viene invece onorato con una cerimonia religiosa all’interno della grotta a lui consacrata. Molto caratteristico è l’aspetto musicale della processione, che prevede l’accompagnamento al suono dei pifferi, retaggio dell’antica cultura pastorale. Non a caso i giorni dedicati al santo coincidono con i tempi della transumanza: la salita ai pascoli montani all’inizio della primavera e il ritorno a valle all’inizio dell’autunno.
Riti di San Michele: Fotografia di Armando Cerzosimo