“Lo shock energetico colpisce duramente i comparti strategici dell’economia meridionale” - Le Cronache
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“Lo shock energetico colpisce duramente i comparti strategici dell’economia meridionale”

“Lo shock energetico colpisce duramente i comparti strategici dell’economia meridionale”

di Clemente Ultimo

Ad accentuare la crisi economica – in Italia solo rinvigorita dalla pandemia, ma con radici che affondano in quella nata negli Stati Uniti nel 2008 – concorrono le tensioni sui mercati internazionali dell’energia, alimentate dal conflitto ucraino. Una riflessione su quanto sta accadendo e sulle ricadute per le imprese, in particolare del Mezzogiorno, ce la fornisce il professor Alessandro Mazzetti, storico ed analista geopolitico. Qual è – e soprattutto quale sarà nel prossimo futuro, ovvero in autunno e inverno – l’impatto sull’economia italiana di tagli e rincari del prezzo del gas?

«Questa crisi dal punto di vista economico sarà totalmente invasiva soprattutto per una nazione come la nostra, non autosufficiente nel campo energetico e in quello delle materie prime. Come possiamo supportare le industrie senza energia? E come possiamo supportare l’impiego se le industrie sono costrette a regimi produttivi bassi a causa dei rincari energetici? Insomma un cane che si mangia la coda. Dato ancor più articolato ed incisivo poiché in Italia manca non solo una strategia energetica, ma anche una vera e propria proiezione geopolitica dell’energia. Con lo scoppio della guerra e con il gas russo regolarmente rifornitoci abbiamo visto un rincaro degli idrocarburi di oltre il 30% eppure non c’era motivo, poiché non è mai mancato. Questo ha già portato ad uno shock produttivo notevole costringendo nell’immediato le industrie alla cassaintegrazione e ad utilizzare le scorte di magazzino. Poi dopo l’intervento postumo del governo le speculazioni sono rientrate, ma oramai la frittata era già fatta. Questo avvenimento dimostra la grande fragilità nazionale in campo energetico per questo dovremmo avere come sistema paese poderose strategie energetiche, ma non è così da decenni oramai».

Per il sistema produttivo del Mezzogiorno ci sono ulteriori elementi di criticità?

«Per il nostro Mezzogiorno la questione è diversa poiché è scarsamente industrializzato, ma la crisi energetica mondiale riesce ad portare le sue conseguenze anche nelle aree agricole giacché incide sul costo degli idrocarburi. La parte meridionale del Belpaese pur non vivendo d’industria ha comunque risentito delle conseguenze economiche della crisi energetica. Basti pensare alla pesca. Moltissimi pescherecci hanno preferito rimanere in porto poiché l’aumento del gasolio avrebbe assorbito qualsiasi possibilità di guadagno. Una vera e propria tragedia per i pescatori legati ai permessi stagionali. Lo stesso vale per l’agricoltura con il rincaro dei fertilizzanti degli anticrittogamici e dei prodotti per la produzione agricola in genere. La crisi russo-ucraina ha comunque evidenziato l’importanza dell’agricoltura con la vexata quaestio relativa al grano ucraino. Certo il nostro Mezzogiorno non può contare sulle vaste distese ucraine, ma dei oltre 40 tipi di grano in Italia e quindi nel nostro Mezzogiorno ne coltiviamo circa una trentina. Un primato che andrebbe valorizzato con politiche adeguate. L’agricoltura abbisogna di sbocchi commerciali e i nostri prodotti che sono di assoluta qualità, se ben supportati da strategie commerciali in ambito internazionale e potendo contare su coerenti reti logistiche e tattiche geopolitiche, potrebbero fare la differenza non solo in ambito occupazionale».

È possibile immaginare soluzioni nel breve periodo o l’unica alternativa è una “nuova austerità” come quella proposta dall’ex premier Draghi con la ormai celebre battuta sui condizionatori?

«Una nuova austerità credo che sia inevitabile, vista anche la congiuntura internazionale. I momenti di crisi stimolano nuove strategie e nuove soluzioni, ma al momento in Italia non vedo studi concreti e persone capaci di traghettare l’Italia fuori dalla crisi con strategie internazionali valide sia in campo energetico, economico, ma soprattutto geopolitico. È una crisi che dura con andature diverse sin dal 2008, ma sinora non si sono trovate strategie valide, ci siamo limitati ad interventi tampone eppure la posizione geografica nazionale è la nostra maggior risorsa soprattutto in un momento storico dove le nazioni esercitano la loro sfera d’influenza grazie alla logistica. La geografia è destino sosteneva Napoleone, ma nel mondo post-neoliberista la geografia deve essere valorizzata e messa a sistema. Già allo scorso Naples Shipping Week, come centro studi Cesmar, abbiamo presentato delle proposte per essere concorrenziali nell’attuale sistema economico con la proposta di creazione di rotte lineari, di Port Industry, ma soprattutto con l’idea di far diventare alcuni dei nostri porti meridionali scali energetici sfruttando la loro vicinanza alle fonti di gas ed idrocarburi. Questo consentirebbe un ribaltamento poderoso poiché le industrie del nord sarebbero concorrenziali nel mercato mondo grazie alla costante e calmierata fornitura di gas proveniente dal sud. Un ribaltamento epocale, ma che abbisogna di una strategia nazionale ad unica regia come un Ministero del Mare. Un assurdo constatare che in Italia non si sia ancora dato vita ad un ministero simile».

Oggi paghiamo l’assenza di una politica energetica incapace di guardare oltre gli slogan lanciati dagli emuli di Greta Thunberg?

«Purtroppo siamo figli del nostro tempo. Da anni assistiamo a politiche fatta tramite gli slogan. Forse molti ignorano che “slogan” è un grido di battaglia. Ora mi domando, ma è possibile fare politiche serie tramite un grido di battaglia? Naturalmente la mia è una domanda retorica e provocatoria. Trovo assurdo pensare che la transizione energetica possa essere effettuata per decreto legge, essa infatti abbisogna d’interi decenni. In fondo noi siamo ancora legati alla combustione endotermica per cui ci vorranno ancora decine d’anni per questa transizione per quanto sia auspicabile e desiderabile. Ma la frenesia e la faciloneria hanno impresso alle popolazioni che la transizione potesse avvenire nel breve periodo, proponendo modelli inapplicabili distogliendo al contempo l’attenzione su molti studi di transizione invece applicabili. Il rinnovabile è assolutamente desiderabile, ma al momento non sufficiente. Senza energia non ci può essere non solo sviluppo industriale, ma anche sociale e questo è bene rammentarselo».