Il lavoro e la dignità hanno il buon sapore del cioccolato - Le Cronache
Salerno Ultimora

Il lavoro e la dignità hanno il buon sapore del cioccolato

Il lavoro e la dignità hanno il buon sapore del cioccolato

di Clemente Ultimo

Provare a creare occasioni di lavoro in un territorio dove l’occupazione è spesso un miraggio. Di più, offrire opportunità di inserimento lavorativo a persone con disabilità. È una doppia sfida, in realtà, quella che ha preso le mosse nel 2002 e ha poi portato alla nascita della Cioccolateria sociale “Dulcis in Fundo”. Un percorso lungo, nato all’interno della parrocchia che fu di don Peppe Diana, il sacerdote ucciso il 19 marzo del 1994 per il suo impegno contro la criminalità organizzata. È fra i volontari che fanno riferimento alla parrocchia di San Nicola, in quel di Casal di Principe, che prendono corpo la consapevolezza e la volontà di aprire un nuovo fronte nell’impegno per la comunità: provare a costruire percorsi che possano portare all’inserimento lavorativo delle persone più deboli. “In quattordici – ricorda Tina Borzacchiello, tra i promotori dell’iniziativa – decidemmo di dare vita ad una cooperativa sociale, la Davar, ed iniziammo a lavorare con le amministrazioni comunali e le Asl su progetti per l’inserimento lavorativo delle persone con difficoltà. In questo percorso siamo riusciti ad ottenere dei risultati, anche con un pizzico di fortuna, ma si trattava sempre di soluzioni individuali, incapaci di dare risposte su scala più ampia. Di qui la nostra idea di lavorare ad un progetto di più vasto respiro, in grado di offrire un percorso di inserimento lavorativo ad un numero maggiore di persone, prevalentemente ragazzi, con diversi tipi di difficoltà”. Un percorso che passa, sulla scia dell’insegnamento e dell’esempio di don Diana, attraverso la restituzione alla collettività di beni sottratti alla criminalità organizzata. “Nel 2011 abbiamo presentato un progetto e, sulla base di questo, abbiamo messo a punto una richiesta per ottenere l’affidamento di una struttura confiscata alla camorra: ci sono voluti ben quattro anni perché si completasse l’iter amministrativo, ma alla fine, nel 2015, siamo riusciti ad entrare all’interno della struttura in cui avevamo immaginato di dare vita ad una cioccolateria. Una scelta, quella di dedicarci alla produzione di cioccolato, che in realtà non nasce da un motivo preciso, ma ci piaceva l’idea di avere a che fare con un prodotto che è buono, che piace a tutti”. Come si affronta una sfida così impegnativa? “Facendo una scelta di qualità. Fin dal primo momento abbiamo deciso di lavorare solo ottime materie prime per offrire un prodotto d’eccellenza. Spesso chi viene da noi lo fa spinto dal desiderio di contribuire ad un progetto di carattere sociale, ma poi ritorna perché scopre la bontà dei nostri prodotti. Ecco, noi siamo felici di questo, così come di essere riusciti a costruire un ambiente caldo, accogliente ed anche bello da vedere. Siamo costantemente impegnati a migliorare, recentemente abbiamo acquistato dei nuovi macchinari, anche grazie al sostegno della Regione Campania. L’ultima arrivata è una macchina per la produzione della cioccolata spalmabile, un grande investimento economico per una piccola cooperativa, ma noi non vogliamo venir meno all’impegno in punto di qualità. Il tutto senza perdere di vista il nostro obiettivo originario: dare ad ognuna delle persone che lavora nella cioccolateria la dignità che le spetta. Oggi riusciamo a garantire lavoro a sei ragazzi disabili ed a due donne”. Qual è stata l’accoglienza che il territorio ha riservato a questa iniziativa? “Una grande diffidenza, soprattutto all’inizio del nostro percorso. La struttura che ospita la cioccolateria confina con l’abitazione della madre del boss cui l’immobile è stato confiscato, noi abbiamo provveduto a non rendere visibili reciprocamente le due parti, ma è evidente che questa situazione ha creato un certo imbarazzo. E freddezza. Basti pensare che dinanzi alla cioccolateria vi sono diverse piante di limoni, spesso ci viene chiesto di poterne raccogliere qualcuno, ma raramente quando invitiamo queste stesse persone ad entrare l’invito viene accolto. E chi accetta di entrare nella cioccolateria spesso lo fa con una certa ritrosia, quasi con prudenza. È di tutta evidenza che abbiamo maggiore visibilità all’interno del mondo del terzo settore che sul nostro stesso territorio, eccezion fatta che con le scuole: spesso diamo vita a laboratori con gli studenti”. Con il passare del tempo si è aperto qualche spiraglio in questo muro di diffidenza? “Sì, piano piano il muro cede. Qualcuno inizia ad acquistare i nostri prodotti, direi che, grazie anche alla nostra costanza, in molti si sono abituati alla nostra presenza. Anche se a tutt’oggi chi viene da noi è prevalentemente parte del mondo del sociale e della cooperazione”.