“Da una preliminare lettura della sentenza del Tar che ha respinto il ricorso di Legambiente rappresentata dallavvocato Pasquale D’Angiolillo (nonché quello parallelamente proposto dall’Ente Riserve Naturali Foce Sele – Tanagro, Monti Eremita e Marzano) contro la realizzazione del Grande Progetto “Intervento di difesa e ripascimento del litorale del Golfo di Salerno nei Comune di Pontecagnano, Battipaglia, Eboli, Capaccio, Agropoli” appena pubblicata, emergono non poche perplessità nella valutazione delle argomentazioni poste dalla nostra Associazione. Salta all’occhio, tra le varie, la contraddizione, da un lato,il riconoscimento da parte del Tar, come contestato da Legambiente, della durata della Via, approvata ad aprile 2014 è scaduta nel 2019 per legge quinquennale e, dall’altro, la contestazione di improcedibilità riguardo tale confutazione in quanto sarebbe stata formulata prima della scadenza del termine di legge.In ogni caso, è chiaro che, in virtù di quanto evidenziato, la Provincia di Salerno non potrà procedere alla sottoscrizione del contratto e all’avvio dei lavori senza aver prima reiterato la procedura di Via come testualmente stabilito dalla norma espressamente richiamata nella sentenza.” In una nota Legambiente Campania commenta così la sentenza del Tar che ha respinto il ricorso dell’Associazione in merito al Grande Porgetto di ripascimento del litorale salernitano “A prescindere dal pronunciamento – aggiunge Legambiente- oltre a prendere in considerazione il ricorso in appello, chiederemo da subito chiarimenti nelle sedi nazionali e comunitarie sulla legittimità di un intervento palesemente contraddittorio rispetto alle disposizioni vigenti in materia di tutela dei corpi idrici superficiali. Infatti, il progetto non poteva essere autorizzato in quanto determinante un deterioramento dello stato del corpo idrico superficiale in difformità rispetto alle disposizioni recate dalla direttiva quadro 2000/60/CE per l’azione comunitaria in materia di acque.” “Purtroppo – sostiene Giancarlo Chiavazzo, responsabile scientifico di Legambiente Campania – si continuano a proporre interventi tesi ad agire sugli effetti piuttosto che sulle cause dell’erosione”. Di fatto sono molti gli aspetti ritenuti controversi di questo progetto, a partire dalla sua non conciliabilità con le indicazioni comunitarie in tema erosione costiera che scoraggiano in modo molto chiaro l’uso delle “opere rigide”, che hanno dimostrato di avere scarsa efficacia e provocare effetti secondari critici sui tratti di costa contigui, tanto per gli ecosistemi marini quanto per lo stesso ripascimento naturale dei litorali. Ciò che si verificherebbe con la realizzazione del Grande Progetto è un inevitabile deterioramento dello stato di qualità del corpo idrico superficiale, il mare costiero per intenderci, in spregio agli obiettivi di qualità di cui alla DIR60/2000/CE. – Prosegue Chiavazzo – Le opere, infatti, determineranno significative alterazioni della circolazione delle acque che tenderanno a ristagnare, degli equilibri biologici e chimico-fisici, come anche della naturale redistribuzione dei sedimenti fluviali lungo tutta la costa, fondamentali per la formazione e conservazione degli arenili, a quel punto anche il profilo della costa sarà stravolto ed assumerà un aspetto a “dente di sega”. Occorre ricordare inoltre che gli interventi interesseranno un contesto protetto, ovvero la riserva naturale regionale Foce Sele-Tanagro e anche che l’artificializzazione del sistema costiero impedirà la sua naturale capacità di autoregolazione e la conseguenza sarà una perenne, onerosa attività di manutenzione delle opere. C’è da chiedersi come si farà fronte allo storico problema della mancanza di risorse per la gestione”. Le soluzioni evidenziate da Legambiente Campania rappresentano le esperienze in tema di erosione oramai consolidate in ambito comunitario; esse vanno ad inserirsi in una logica differente che parla di tutela ambientale e di resilienza e non di opposizione al corso della natura, tipica di una vecchia ed errata concezione. Le proposte vanno dai ripascimenti con utilizzo di sabbie prelevate da mare profondo alla corretta gestione dei corsi fluviali, interessati purtroppo da così tante opere di contenimento e rallentamento dei deflussi da aver significativamente ridotto il trasporto a mare dei sedimenti che sono parte essenziale dei nostri arenili. Laddove le condizioni non consentono questi approcci la soluzione dovrebbe essere, in accordo coi principi di resilienza e di tutela del territorio maturati nei consessi internazionali, quella di assecondare il corso della natura. Come purtroppo esperito a seguito di eventi alluvionali, mareggiate ed esondazioni, ci saranno sempre luoghi in cui è possibile intervenire con opere e luoghi in cui sarà necessario accettare l’idea di doversi adeguare, restituendo spazio al mare. Nel caso specifico, un approccio sistemico suggerisce di prevedere un arretramento dalla linea di costa e sposare l’idea di una convivenza armoniosa tra uomo e ambiente, unica soluzione per scongiurare fenomeni come il dissesto idrogeologico. La sentenza lascia non poco perplessi, Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania, annuncia la volontà di proseguire in questa battaglia “A prescindere dal pronunciamento, oltre a prendere in considerazione il ricorso in appello, intendiamo chiedere da subito chiarimenti nelle sedi nazionali e comunitarie in merito alla legittimità di un intervento palesemente contraddittorio rispetto alle disposizioni vigenti in materia di tutela dei corpi idrici superficiali”. Il percorso verso una soluzione pare sia destinato a durare ancora a lungo insomma.
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