Zaccagnini e il suo amore per Salerno - Le Cronache
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Zaccagnini e il suo amore per Salerno

Zaccagnini e il suo amore per Salerno

di Carlo Chirico*

Il cinque novembre 2019 la città di Ravenna ha celebrato la ricorrenza dell’ anniversario dei 30 anni della morte di Benigno Zaccagnini. Mi ero organizzato per partecipare all’evento, considerando il grande Ravennate espressione esemplare e forse unica (se si eccettui Alcide De Gasperi) dei valori fondanti del grande partito che fu la Democrazia Cristiana. Ma quando è arrivato l’invito dal Sindaco della storica città romagnola, Michele de Pascale, mi son fermato a rileggerlo più volte con amara perplessità. Il cortese invitante nel ricordare “Zaccagnini protagonista della Resistenza”, il suo “ruolo centrale per Ravenna e per l’Italia negli anni della ricostruzione e dell’industrializzazione” e la sua testimonianza “costante di passione politica e sincera moralità”, semplicemente trascurava quello che fu il momento più alto del suo impegno politico e civile, e cioè l’aver guidato da Segretario Politico Nazionale la Democrazia Cristiana, il più grande e il più popolare (insieme col PCI) dei Partiti in quel momento presenti sulla scena italiana. Avvertivo come se si fosse voluto dire: Zaccagnini fu bravo, Zaccagnini fu resistente, Zaccagnini ebbe passione politica e sincera moralità, quindi con la Democrazia Cristiana non può aver avuto a che fare. Mi son detto tra me e me : figuratevi una commemorazione di Enrico Berlinguer -personalità di insuperabile caratura politica e morale- organizzata senza ricordare che fu il Segretario Politico Nazionale del Partito Comunista Italiano. Mi venne facile pensare che la distrazione dell’illustre padrone di casa fosse inconsapevolmente condizionata dal malvezzo di taluni storici (si fa per dire!) che leggono l’avanzamento politico sociale economico culturale dell’Italia nei primi quarant’anni del secondo dopoguerra realizzatosi nella distrazione e nel dormiveglia della Democrazia Cristiana. Per la verità su questo aspetto della celebrazione, svoltasi il giorno 5 Novembre, ha provveduto a pareggiare poi il conto il profilo biografico dello storico Guido Formigoni e soprattutto il nobilissimo, equilibrato discorso di Sergio Mattarella, nostro Presidente della Repubblica. Per mio conto maturavo una protesta, garbata; oggi si usa scherzosamente dire alla democristiana. Mi decisi ad indirizzare al Sindaco di Ravenna una nota nella quale ricordavo che Benigno Zaccagnini aveva attinto l’approdo più alto della sua attività politica assumendo la funzione di Segretario Politico Nazionale della Democrazia Cristiana e che, soprattutto, quel ruolo egli aveva esercitato mai con spirito divisivo e sempre per gli interessi contingenti e soprattutto di prospettiva di tutto il popolo italiano. Solo per ragioni di garbo non ritenevo si fosse trattato di postuma volontà di oscuramento, ma la grave dimenticanza rimaneva comunque imperdonabile e tanto mi induceva –dolorosamente- a non essere presente. Avevo comunque il tormento che alla mitezza di Zaccagnini, dall’aldilà, la mia reazione potesse non piacere ed è così che ho trascorso quando accorse a quella giornata del cinque col pensiero rivolto a Lui, dedicandola al ricordo delle ragioni della vicinanza di Zac alla Città di Salerno alla sua visita troppo presto dimenticata del due maggio 1976 quando accorse a testimoniare la sua vicinanza fraterna ai giovani della Democrazia Cristiana , che sette giorni prima – il 25 aprile del1975 giorno che celebra il momento significativo della lotta antifascista- avevano subito una violenta aggressione, quella, si, di autentica marca fascista, da parte di gruppuscoli extraparlamentari, credo di Lotta Continua e contorni. Che cosa era successo? Ne scrivo dopo tanti anni: non l’ho mai fatto per evitare il rinfocolarsi di polemiche ormai superflue rispetto alla evoluzione dei fatti così come consegnati alla storia e la facite tentazione di cercar medaglie per sé o per la propria partea essendo ormai tutte le parti e tutti i protagonisti superati pur essi dagli eventi. Ne parlo ora, stimolato dall’occasione della celebrazione ravennate, soprattutto per una ragione d’affetto e gratitudine verso l’Uomo sulla cui azione politica ed esemplarità di impegno gli anni non hanno steso velo d’oblio. Il 25 aprile di quell’anno 1976 cadeva in una fase di grave fibrillazione della politica italiana, da tempo alle prese con un tema che tutto pervadeva e tutto complicava: la democrazia bloccata, per dirla riassuntivamente.   E fervevano discussioni e iniziative per il suo superamento. Tra queste la più semplice o, se si vuole, la meno rischiosa per ragioni soprattutto di politica internazionale, sembrava essere un processo di avvicinamento tra le due forze politiche maggiori – Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano- per dare stabilità all’azione di Governo e consentire progetti di sviluppo di respiro meno corto di quello che consentivano Governi esposti alla collaborazione altalenante di Partiti e forze politiche minori. A parte ogni considerazione sulle azioni di disturbo, anche gravi, da parte di gruppuscoli antisistema ( il terrorismo), è comprensibile che il tentativo di realizzare quella linea politica fosse visto come il fumo negli occhi dalle forze minori, e soprattutto dal Partito Socialista Italiano che minore non si riteneva e perseguiva con chiarezza un disegno da primato nella guida politica del Paese. Alleato al Centre son ta DC e negli Enti locali col PCI, esso puntava logoramento di ambedue gli alleati maggiori e, se non dichiarava ostilità ad un coinvolgimento del PCI nell’area di governo, puntava tuttavia a procrastinarlo il più a lungo possibile o a portarceli, i Icomunisti, per la finestra PSI e non per quella dc. In questo clima, riassunto alla men peggio ma mi pare sostanzialmente veritiera, la settimana precedente il 25 aprile fu segnata da lunghe e intense discussioni per tentare di celebrare la Liberazione unitariamente. Su questa linea erano lanciatissimi i due Partiti maggiori, allora guidati da due Segretari provinciali ragionevolmente aperturisti e in consonanza anche umana e personale ( Carlo Chirico e Franco Fichera venivano ambedue dal mondo universitario salernitano, allora particolarmente effervescente) anche in considerazione degli umori nazionali delle rispettive Direzioni politiche. Sia come sia la lunga tensione di quella settimana approdò, non senza l’attenzione preoccupata della Prefettura e della Questura, alla decisione di un 25 aprile unitario, col saluto della Associazione Partigiani e dei Sindacati nel Teatro Augusteo, dopo un corteo da Piazza Ferrovia a Piazza Amendola con la presenza delle Bandiere dei rispettivi movimenti. Già durante il corteo si era avvertita grande agitazione: frequenti le urla di “Via la Democrazia Cristiana”, i cui giovani marciavano tra le prime fila inalberando le loro bandiere, insolitamente numerose. All’Augusteo la scena si guasta : mentre i dirigenti furono avviati verso il palco i giovani e le loro bandiere furono indirizzate nella sala, stranamente già occupata da gruppi di giovani extraparlamentari che cominciarono a gridare disordinatamente “fuori i democristiani”, “La Resistenza è comunista” (evidentemente non avevano sentito parlare dei tanti partigiani diccì, primi fra tutti Benigno Zaccagnini e Tina Anselmi). Il tumulto non si placava e fu allora che uno dei sindacalisti presenti, che avrebbe dovuto prendere la parola, mi si avvicinò all’orecchio e con tono tra lo spaventato e l’imperativo sussurrò “Chirico, da’ l’ordine di abbassare le bandiere, se no qua finisce male”. Offeso nella dignità di democratico e toccato dal patriottismo di Partito gridai invece, rivolto soprattutto alle ragazze che stavano nelle prime file, con quanto fiato avevo in gola: “ Ragazze, mantenete alte le nostre bandiere”. Seguirono alcuni minuti d’inferno, con un’aggressione violenta e infame da parte dei cosiddetti rivoluzionari che si accanirono soprattutto sulle ragazze e sulle bandiere: qualcuna delle prime finì in ospedale con prognosi per la verità non grave, alcune delle seconde furono bruciate e calpestate. L’immediato intervento della Polizia, presente in forze perché forse già insospettita, evitò che la giornata finisse in tragedia, sciogliendo la manifestazione. Sul loro giornale la mattina del 27 i presunti rivoluzionari titolavano quanto era successo “La DC, messa a tacere, abbandona la sala”. Si, è vero, non solo messa a tacere, ma colpita da minacce e violenze, secondo la tecnica propria dei fascisti nel giorno della Liberazione dal Fascismo! | dirigenti democristiani si raccolsero immediatamente nel vicino Palazzo Sorgenti col loro Comitato Provinciale e rimasero in seduta permanente per tutta la settimana, insieme con la loro rappresentanza parlamentare. Lì ricevettero la testimonianza di solidarietà dei Partiti democratici e particolarmente sincere mi sembrarono le parole di Franco Fichera, di Tommaso Biamonte e di Nini Di Marino, degli altri non so quanto fossero appagati che l’evento potesse rallentare, almeno in sede locale, le spinte aperturiste presenti nella DC e nel PCI. La Segreteria Nazionale e Zaccagnini informati consigliarono immediatamente una manifestazione di popolo da tenersi con la mobilitazione di tutta la Provincia, la domenica successiva 2 maggio, con la partecipazione del Segretario Politico Nazionale sul tema della Libertà e della Democrazia. Furorto sette giorni di attività frenetica: visitammo tutti i comuni della Provincia, chiamando alla mobilitazione iscritti e gente comune amante della libertà. ll.corteo che il 2 maggio 1976 partì da Piazza Ferrovia per raggiungere Piazza Amendola costituisce la più grande manifestazione popolare nella vita democratica della Città di Salerno. Non solo il corteo in marcia, ma tutte le traverse che sui due lati di Corso Garibaldi danno verso l’alto e verso il mare erano invase e chiuse da una folla partecipe dell’evento, che scoraggiò in silenziosa fuga qualche rarissima voce di dissenso. Il palco per il comizio di Zaccagnini era situato tra il Palazzo del Municipio e la Prefettura, davanti alla Sede d’allora dell’Azienda di Soggiorno e Turismo. Da quel palco vidi il popolo democristiano in festa che copriva compatto tutta l’area e la strada fino a Palazzo Luciani di fronte e ai giardini della Villa Comunale sulla sinistra. Ricordo Carlo Mazzella avvolto in un grande panno immacolato sormontato da uno scudo crociato dipintogli addosso per tutta la persona. Ricordo da Angri la signora Smirne e da Sapri Gilda Madonna con Corinna Bottiglieri ed un foltissimo gruppo di militanti femminili cantare sorridenti “Biancofiore”, e ricordo soprattutto i tabelloni che testimoniavano la presenza dei Consigli di fabbrica di Salerno e di alcuni Comuni della Provincia. C’era da rimanere sbalorditi a vedere amici da sempre concorrenti tenaci nella dialettica democratica interna di Partito, stringersi insieme sorridenti e nel volto una qual certa solennità quando levavano, insieme, Scarlato e D’Arezzo, alta la voce gridando “libertà – libertà”. E con loro l’intero gruppone compatto dei deputati democristiani della Provincia Amodio, Pica, Lettieri, Valiante, coi senatori Colella e Manente Comunale e con De Mita venuto a rendere la sua testimonianza da Avellino. Col volto severo e stirato sul palco, come isolato nella solennità dell’evento, rivedo Roberto Virtuoso e con lui Michele Pinto e l’indimenticabile Michele Scozia e con loro entusiasta, pressocché al completo, un Comitato Provinciale che nelle settimana di preparazione della visita era stato infaticabile e ineguagliabile: D’Antonio, Musco, Apolito, Di Donato, Adinolfi, Del Mese, Valiante, Maurano, Salemme (poi divenuto lo storico scrupoloso studioso delle cose nostre ) e tutti gli altri che riesce impossibile ricordare e mettere in riga, come pur meriterebbero.. E c’erano, con in testa quello di Salerno Alberto Clarizia, tutti i sindaci democristiani della Provincia a testimoniare come l’elemento essenziale della nostra cultura politica sia sempre stato il culto delle Autonomie locali, da Sturzo in poi non solo strumento di organizzazione della vita civile sui territori ma lievito per la crescita di autentica democrazia nella libertà. Ma più di tutto mi è rimasta nell’anima la figura di Zaccagnini tra le ragazze e i giovani: sul volto un sorriso appena abbozzato, le braccia leggermente protese a stringer mani e dalle labbra socchiuse, come un ritornello o un brontolio dolce il versetto “difendete la libertà”. Foto stesso tema affrontato nel suo discorso, svoltosi dopo il saluto del Segretario Provinciale e quello di un entusiasta Pasquale Cuofano, Delegato del Movimento Giovanile: una visione della libertà come valore dello spirito e pur essenziale alla crescita civile ed economica dei popoli. Incredibile; dicendo che era venuto a Salerno non per dividere ma per unire intorno ad una bandiera di libertà, sembrava parlare non a noi democristiani, ma a nome della Democrazia Cristiana a coloro che sette giorni prima si erano illusi di poter spegnere una voce di libertà.

* docente universitario già segretario provinciale Democrazia Cristiana