di Annarita Caramico
Mura ingrigite dall’usura del tempo quelle dei capannoni delle Fonderie Pisano. E di tempo ne è trascorso dal 1961, lasciando il suo segno sulle pareti esterne scure, sulla tettoia di un verde scolorito, memore, forse di un colore più vivo. Entrando all’interno si respira un’aria diversa. Lo spazio ampio, l’altezza del capannone e un odore vagamente simile all’incenso fanno pensare ad una cattedrale sconsacrata. La luce si diffonde in modo tenue dai finestroni in alto, illuminando poco questo spazio enorme ma scuro. Rumori, tanti rumori, tutti diversi. Sembra di essere in un luogo dove il tempo si è fermato eppure allo stesso tempo brulica di vita vissuta. Quella degli operai che hanno ripreso a lavorare. Flaviano Pisano, capo-produzione delle Fonderie, ricorda quasi Virgilio in un giro, affascinante per chi non è del settore ed emozionante per chi fra quelle mura ci ha passato comunque una parte della propria vita. Sono le due fasi che si svolgono in quest’area, come spiega Pisano, quella della fusione e quella della formatura. Metallo reso liquido dai forni fusori a circa 1350 gradi. A vederlo sembra una fontana di fuoco. La fase della formatura consiste nel creare un vuoto nella terra di fonderia, un composto di sabbia silicia pura al 100% arricchita da bendonite (argilla naturale che serve a far trattenere alla sabbia l’umidità poi dosata dai macchinari). La prende in mano e sembra una specie di polvere nera con dei brillantini dalla consistenza duttile. Mostra una pallina sul palmo della mano nera. La catena di montaggio è affiancata da macchinari complessi e efficienti, ognuno col suo ruolo, per poi combinarsi e creare la forma che a sua volta creerà un vuoto dove si riserva la ghisa liquida. Un operaio è addetto a controllare temperatura e tempi di colata. “Questo non è un processo continuo, è un processo che inizia e si conclude in giornata” spiega Pisano. I pezzi colati e formati viaggiano sul nastro che li porta in sabbiatura su uno Schengen, un macchinario assai rumoroso collegato in un secondo capannone, il cui movimento ricorda un po’ lo scuotere un setaccio, in maniera ritmata. Un altro capannone ancora, un’altra area, altri pezzi, altra catena di montaggio. Qui pezzi che arrivano a pesare una tonnellata sono appesi e fatti girare per essere verniciati. Parliamo di 3500 litri di vernice. I ganci, il movimento del pezzo, la sua immersione nella vernice, lo sgocciolamento, fanno pensare un po’ a un mattatoio. D’altronde, i pezzi poi passano direttamente nel forno di cottura e ci restano quattro ore. Macchinari complessi, di tecnologia avanzata ( il MAUS ad esempio, tecnologia 4.0) sembra abbiano ripreso il loro ritmo, insomma. A colorare questi spazi grigi il sorriso di alcuni operai, coi loro caschi gialli in testa, gli occhi che, però, vanno all’indietro, a quando i pezzi prodotti erano molti, molti di più ( “Arrivavano fino in alto” afferma Angelo Clemente, rappresentante RSU degli operai). Il lavoro, infondo, è ripreso da dodici giorni. Angela Petrone, moglie di uno degli operai, ha gli occhi che scintillano quasi quanto il metallo fuso, nel vedere la Fonderia di nuovo in attività. Adesso, sembra ricordare quasi con un sorriso quando a settembre si è incatenata davanti all’opificio e afferma “quando si entrava era tutto silenzio, tutto buio, sembrava un qualcosa senz’anima, morta. Faceva male al cuore per un operaio. Non è come prima, certo, però sembra un piccolo e nuovo inizio”.