Un’arca piena di pizze - Le Cronache Ultimora
Ultimora Salerno

Un’arca piena di pizze

Un’arca piena di pizze

do Alberto Cuomo

Opportunamente l’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, S. E. Monsignor Andrea Bellandi, ha voluto dare enfasi alla presentazione della traduzione di un’antica iscrizione del Duomo di Salerno incisa nella pietra dello stipite sinistro della porta centrale della cattedrale, con un incontro pubblico intitolato “Sulle tracce degli armeni a Salerno e in Italia”. All’iniziativa, organizzata dall’Ufficio di Cultura e Arte dell’Archidiocesi, unitamente alla Fondazione Alfano I, presso il quadriportico del Duomo era presente l’organizzatrice, la teologa Lorella Parente che ha invitato tutti i presenti a “Prendersi un momento per restare in ammirazione di quest’antica incisione, il cui significato, può restituire a ciascuno un profondo senso di appartenenza all’umanità di tutti i tempi, sempre alla ricerca della propria pienezza e felicità”. Per l’occasione è stato approntato un opuscolo bilingue ed una colonnina informativa con la traduzione di don Matteo Crimella, professore presso la Facoltà Teologica di Milano, dell’iscrizione, incisa probabilmente da un pellegrino armeno venuto a Salerno per devozione verso l’apostolo Matteo nell’età medioevale. La cerimonia avrebbe potuto avere un risvolto politico, ma la presenza dell’Arcieparca di Costantinopoli degli armeni-cattolici, Monsignor Levou Zekian, l’ha indirettamente condotta su binari istituzionali. Infatti, le poche migliaia degli armeni cattolici che risiedono in Turchia, tra Ankara e Istanbul, non sono che i resti di un popolo martoriato storicamente che, ancora oggi, combatte per il completo riconoscimento internazionale di tutti i suoi territori. L’Armenia, infatti, che fa parte dell’Unione Europea, non comprende i territori che hanno posseduto storicamente gli armeni e che andavano dal Caucaso alla Mesopotania comprendendo gli attuali Iran e Iraq. Pur senza ricorrere alle origini che, si vuole, siano dovute ad un discendente dei figli di Noè, Haik, il quale, dopo quattro generazioni dal diluvio universale, proprio sul monte Ararat dove l’arca si era posata, aveva disposto un luogo per il suo popolo, e senza andare ai tanti conflitti nel tempo con gli Ottomani, è da ricordare come, ancora all’inizio del secolo scorso, nel 1915 gli Armeni hanno conosciuto il genocidio e la deportazione, con circa un milione e mezzo di persone massacrate dalle milizie turche. Le vicissitudini degli armeni hanno però cementato la loro unione e identità che fa loro mantenere in vita la religione (furono il primo popolo che elevò la religione cristiana a religione di stato) la lingua, i costumi e le tradizioni. Gli archeologi vogliono che essi fossero coloni mesopotamici mentre gli studiosi di genetica confermano il loro costituire un popolo autoctono sì da rendere attendibile la leggenda che li vuole discendenti di Hayk cui si deve il primitivo nome del paese Hayqstan. Con le persecuzioni ebbe luogo una lunga diaspora che condusse gli armeni a emigrare in Europa e nelle Americhe sino al 1920 allorchè l’Unione Sovietica consenti la formazione di una repubblica autonoma riconosciuta poi, nel 1991, anche dal consesso internazionale, sebbene gli appetiti dei curdi, turchi e iraniani, la rendano fragile, tanto che nel timore ni nuove pulizie etniche molti armeni preferiscono emigrare, al punto che su 12 milioni di armeni ben nove milioni non vivono in Armenia. Singolarmente il palazzo di città è stato rappresentato nell’evento arcivescovile solo dalla consigliera comunale Vittoria Cosentino e non almeno da un assessore. Chi sa che, abituato alle fritture di Alfieri, tutto l’entourage di De Luca stava forse preparandosi all’evento del giorno successivo, l’inaugurazione del ristorante “Vicolo della neve” rimesso a nuovo. E non a caso, mentre De Luca, proprio lui, il presidente della Regione, quasi adagiato mollemente su una sedia sotto il dipinto murale (non un affresco) di Clemente Tafuri raffigurante un fauno tentatore di una fanciulla, un nugolo di postulanti era assiepato intorno a lui sin oltre la porta del “vicolo”. C’era di tutto, nani, ballerine, clown, saltimbanchi e presunti intellettuali mischiati con cantanti e soubrettes. Tutti a sperare che De Luca li facesse ridere con le sue battute divenute ormai stantie per chi conosce i suoi giochi di potere. E no, no, non si sarebbero accontentati del figlio Piero che ha iniziato a sostituire il papà nei riti elettorali. Se nella manifestazione allestita nel quadriportico della cattedrale ci si attendeva qualche parola sulla difficile condizione degli armeni, anche di quelli turchi che sembrano godere di una certa stabilità, al Vicolo della neve sarebbe stata opportuna un maggior brio che non il pesante pistolotto del governatore sulla sicurezza nel Centro storico. I proprietari del ristorante sostengono che il “vicolo della neve” sia un pezzo di storia della città. Ma forse non sanno che la sua è una storia che non si è mai mischiata con la politica. E però, come ormai accade spesso, i locali che si rivolgono ai giovani, ma anche ai meno giovani, si dotano dei cosiddetti pierre, uomini che con la loro presenza attirano i clienti. Ebbene considerando il successo di De Luca come intrattenitore, i proprietari del Vicolo, potrebbero assoldarlo, al fine di vendere qualche pizza in più, quale pierre del loro locale. Il mondo è veramente cambiato. Un tempo erano gli attori a divenire personaggi politici. Oggi sono i politici avvezzi a dare spettacolo.