La prima proposta di legge che presenterò in Parlamento sarà una riforma per un welfare più vicino ai bisogni delle famiglie e un mercato del lavoro più flessibile all’ingresso e inclusivo per giovani, donne e over 50 che hanno perso il lavoro. Quali sono i problemi sociali più gravi? Le famiglie non riescono più a far fronte a tutte le esigenze di cura, di bambini e anziani, e a conciliare queste attività con i tempi lavorativi, non solo quelle svantaggiate. A volte, soprattutto le donne, sono costrette a scegliere fra famiglia e lavoro, perché magari costa di più l’asilo nido o il servizio di assistenza di quanto reddito aggiuntivo possa portare un secondo stipendio. Sugli asili nido si sta programmando un intervento, ma non è sufficiente e non è l’unico lavoro di cura a cui sono dedicate spesso le donne. E qui arriviamo ad un altro gravissimo problema: l’altissima esclusione di specifiche fasce di popolazione dal mondo produttivo. Mi riferisco ai giovani, alle donne, e agli over 50 che perdono il lavoro. Il primo ingresso o il rientro sono uno scoglio a volte insuperabile in un sistema così rigido, e i dati della disoccupazione sono altissimi per queste categorie sociali. E arrivo al terzo problema: il lavoro sommerso. Un fenomeno che porta risparmio a pochi ma che grava sulle spalle di tutti gli altri, in termini di maggiore pressione fiscale e meno servizi e che si registra in particolare in tutti quei settori di servizi alla persona. Qui al Sud è una piaga che non può essere combattuta con inutili condoni o assistenzialismi. È necessario rendere vantaggiosa l’emersione. E allora bisogna lavorare ad una riforma radicale dei sistemi di assistenza alla famiglia e introdurre maggiore flessibilità nel mondo del lavoro. E dirò di più: dare dignità ad ogni lavoro. Non esistono ‘lavoretti’ quando si svolge una funzione utile. Si è parlato tanto di tutelare i rider, ma sono moltissime le categorie che lavorano nell’ombra senza garanzie e senza un minimo inquadramento, per le quali anche l’apertura di una partita IVA sarebbe un aggravio insostenibile sia in termini di costi che di burocrazia. E ancora di più sono le nuove forme di assistenza di cui molti cittadini avrebbero bisogno. Pensiamo alla digitalizzazione: abbiamo reso i servizi della PA digitali senza preoccuparci che sono molti a non avere né le competenze né i dispositivi per accedervi. E allora guardiamo all’esperienza di altri Paese che hanno normato questo genere di lavori. In Germania ci sono i mini job, in Francia la legge sui Services à la personnes. Quest’ultimo modello, con le dovute correzioni, può essere la giusta via anche nel nostro Paese, garantendo: emersione del lavoro nero; inclusione di categorie escluse dal mondo produttivo; riduzione del cuneo fiscale. È necessario prima di tutto passare ai sussidi tradizionali a bonus di spesa destinati: la differenza è che quando il bonus è destinato abbiamo la certezza che sia spesa in servizi specifici, con un doppio beneficio per il sistema economico e sociale, si aiuta una famiglia in difficoltà e si crea una opportunità di lavoro. L’apertura del sistema anche al mondo privato, non prevista dal modello francese, potrebbe renderlo uno strumento di welfare aziendale e di riduzione del cuneo fiscale, dando la possibilità alle aziende di utilizzare i bonus per l’integrazione salariale. L’erogazione dei servizi sarebbe gestita da un ente pubblico preposto alla fatturazione delle prestazioni, alleggerendo così oneri e adempimenti altrimenti a carico del lavoratore. Inoltre l’ente potrebbe verificare i requisiti richiesti per ogni specifica attività, dando maggiore sicurezza agli utenti. Infine dovrebbe essere previsto un regime agevolato sia per i fornitori delle prestazioni, sia per chi si affida a questi servizi pur non facendo parte delle categorie svantaggiate: questo per aumentare la domanda e l’emersione del sommerso. Se vogliamo davvero superare problemi strutturali del nostro sistema, acuiti dalla crisi pandemica e dalle attuali incertezze sulla ripresa, dobbiamo introdurre riforme radicali, anche culturali. Non si tratta solo di interventi sociali, ma di misure di sviluppo: il capitale umano è la più grande risorsa che abbiamo, lasciare che intere fasce della popolazione restino improduttive è un lusso che non possiamo permetterci.
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