di Aldo Primicerio
Sì, ritrovare quello che si è perduto. Perché le vere emergenze non sono né le guerre, né le pandemie, né le crisi economiche o quelle climatiche. Lo sono invece il senso di vuoto, di significato della propria vita, e l’umanità perduta tra indifferenza, profitto e superficialità. Emerge dallo splendido saggio La società dell’emergenza, dove l’autore fotografa la mancanza di spiegazioni – dalla politica e dai media – alle complessità dei fenomeni e delle crisi del nostro tempo.
La nostra riflessione di oggi parte da due analisi. Le raccontano gli stessi lettori su quei giornali che le raccolgono. Certo. Perché spesso i lettori appaiono osservatori del tempo migliori di noi giornalisti che pensiamo di essere gli unici mediatori di questa società. La due analisi si soffermano, la prima, sul presunto ruolo educativo della televisione, la seconda sulla presunta divisione tra i problemi del mondo ed i problemi della scuola, dove i primi vanno esclusi. Una decisione incredibilmente stupida della direzione dell’Ufficio scolastico della Regione Lazio, secondo cui nelle scuole romane vanno bandite in classe discussioni con gli studenti sullo sterminio di Gaza.
I complimenti di Pier Silvio per il (presunto) ruolo educativo e linguistico de La ruota della fortuna. Con cui Gerry Scotti batte Stefano De Martino
Partiamo da Berlusconi jr. Lui è convinto che Mediaset abbia compiuto un miracolo, scritto un pagina nuova nella storia della televisione. Perché, secondo lui, La ruota della fortuna non è solo un bel prodotto televisivo e fa degli ottimi ascolti, ma anche perché i concorrenti (Affari tuoi) vanno in onda con un gioco che non è un gioco, in cui si vincono tanti soldi solo legati alla fortuna, senza nessun merito e nessuna reale prova da superare. Il Biscione insomma starebbe riportando nelle case degli italiani l’amore per la lingua italiana. Con un gioco che oltre che essere divertente sarebbe anche istruttivo per i giovani ascoltatori.
A nostro parere una dichiarazione imprudente da parte del figlio di colui che ha inventato la televisione commerciale. Forse il grande Silvio non l’avrebbe mai fatta una riflessione del genere sul valore educativo della televisione. Secondo i pedagogisti, cui mi associo, La ruota della fortuna svolge funzioni, certo, utili. Ma solo per sviluppare competenze strettamente stumentali. La valorizzazione della lingua italiana, lo sviluppo delle capacità logiche e deduttive, lo stimolo della memoria, la cultura generale, l’interazione e la partecipazione non svolgono infatti un ruolo di educazione, etimologicamente un ruolo di e-ducere, cioè tirar fuori, portare i giovani fuori dall’oscurità alla luce, sviluppare le loro potenzialità latenti, favorire lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche, e soprattutto morali di una persona. Ci vuole ben altro che un intrattenitore, seppure abile, per realizzare un progetto che miri allo sviluppo della consapevolezza critica. E’ questo che innesca in noi umani quelle qualità morali con cui puntiamo a cambiare e migliorare il mondo. Questo vale per Gerry Scotti ed ancor più per Stefano De Martino. Ma vale per tutta la televisione italiana, ridotta ad una enorme scatola di consigli per gli acquisti, ormai scadente ed spesso invedibile, tranne quei programmi, pochi quanto le dita di una mano, presentati da conduttori che insegnano a pensare ed a crescere.
La scuola non è il luogo dove dibattere (anche) su Gaza e le sue stragi. Allora a che serve la scuola?
Siamo alla seconda analisi, quella sulla circolare dell’Ufficio scolastico della Regione Lazio. Che ha ordinato a tutte le scuole romane di tenere la bocca cucita, in pratica un bavaglio su Gaza e le sue stragi, i crimini, il genocidio come lo ha definito la stessa Onu nella sua assemblea. Una circolare a stento credibile, se non provenisse dal massimo organo educativo, da persone che stanno lì per sviluppare i giovani individui nella loro interezza. Secondo loro, in sostanza, in questo mondo esistono da una parte i problemi della scuola, e dall’altra i problemi del mondo. Quello che accade a Gaza, lo sterminio scientifico di civili inermi – tra cui donne e bambini uccisi dai soldati israeliani mentre, in una immensa folla affamata, tendono il braccio con una ciotola – tutto questo non è un problema della scuola. Ed anche qui gli esperti in pedagogia hanno espresso la loro sorpresa. Perché Gaza è, certo, un tema di geopolitica e di diplomazia, ma è anche un problema della scuola, anzi dovrebbe essere al centro di ogni aula e di ogni corridoio di una scuola. Non siamo qui a discettare di cosa si dovrebbe riflettere e discutere a scuola. Ci porterebbe lontano. Ma l’interrogativo – che ci poniamo tutti, e che rivolgiamo all’alta dirigente di un Ufficio solastico – è a cosa serve la scuola. Vogliamo forse lasciarla come un vecchio edificio cadente cui ogni tanto dedichiamo un sommario servizio di pulizia?. Siamo sul crinale di una disastro, come sottolinea il nostro presidente Mattarella, e non ci interessa? Siamo sul limine di una guerra globale, e non è un problema che interessa la scuola ed i suoi studenti? Iconizziamo la morte di un grande italiano come Giorgio Armani, ma quasi indifferenti giriamo le spalle alla tv che fa vedere mamme e padri straziati tenere tra le braccia i corpi dei loro figli? E’ questo oggi il modello di scuola che il centrodestra romano intende diffondere oggi sul territorio italiano?
Non pandemie, guerre o crisi climatica. La grande emergenza del nostro tempo è la perdita di senso e di umanità. E la sindemia
E’ questo il messaggio che sale dal saggio di Fantuzzi La società dell’emergenza. Su giornali, televisioni e web si declina ogni minuto del giorno la grammatica dell’emergenza. Dove soggetto, predicato e complemento sono pandemia, guerra, crisi energetica, cambiamenti climatici. E dove si chiedono, a noi cittadini, solo sacrifici ed obbedienza, ma non ci si spiegano cause e soluzioni. Dal saggio non emerge solo l’analisi politica, ma i limiti dell’informazione, della scienza e delle tecnologie. Perché si devono amplificare le paure, e per un obiettivo mostruoso: strumentalizzarle per trasformarle in armi ultramoderne di controllo sociale. Che oggi sono la firma digitale, il green pass, l’Id alert, gli algoritmi, ma anche piattaforme di comunicazione come Sms, whatsapp ed i social come Facebook, Twitter, Linkedin, Youtube. Perché tutto questo? Perché al fondo c’è la sfiducia. C’era da anni una distanza tra cittadini e istituzioni. Ma adesso è cresciuta scattando verso l’alto a causa di quella che oggi viene definita sindemia. E’ quell’interazione tra fenomeni che giustifica l’emergenza. E’ il nuovo capitalismo, quello dell’emergenza, che erutta dal caos, e che autorizza tutto quello che ci sta piovendo addosso: le guerre, i riarmi, il crollo del welfare, l’aumento delle diseguaglianze, la follia di un avatar come ministro per gli appalti in Albani. In tutto c’è una continuità, una sindemia interattiva. La soluzione. Non c’è se non in noi cittadini, quelli di noi liberi da pressioni, di ogni ordine e grado, capaci di un dibattito dentro e fuori delle istituzioni. Perché si recuperi senso ed umanità. Perché si ritrovi il bandolo in un groviglio. Perché si riaccenda la luce in un buio opprimente.





