di Michelangelo Russo
…da lui interpretata con grande austerità d’aspetto, con l’arte non c’entra nulla. Come si diceva nel ’68, la cultura meno ce ne sta, e più la si spalma. Tentativo comunque nobile vista la scarsità assoluta di risorse che la politica destina alla valorizzazione del patrimonio artistico. Il problema è che l’onnipresenza della Fondazione Menna nei palcoscenici locali della comunicazione mediatica rischia di produrre un effetto contrario alle intenzioni, come il troppo fumo se non c’è l’arrosto. Abbiamo assistito qualche giorno fa alla deposizione di una targa donata dalla Fondazione a Marco Cappato, il leader radicale che accompagnò al suicidio il dj Fabo. L’aiuola di fronte alle cadenti scuole Barra inizia ad assomigliare, però, a un cimitero militare, che nulla ha a che fare con gli scopi statutari della Fondazione. Però l’interramento delle targhe commemorative è l’occasione di un’apparizione mediatica che va bene per la politica, che si nutre di eventi simili, ma è estremamente perniciosa per l’arte, che finisce per soffrirne di indipendenza. Sto leggendo il bellissimo libro di Maria Pasca, docente di storia contemporanea, sugli artisti tedeschi in fuga da Hitler. L’America se li prese con gioia, intuendo il ritorno di prestigio che ne avrebbe avuto. Ma questi artisti non diventarono mai cortigiani degli Stati Uniti, a cui dovevano comunque gratitudine. L’arte è così. Aborre il servilismo e gli atteggiamenti da sicofante. Essa è libera dalle tentazioni protagonistiche fini a se stesse. L’arte moderna è nata in funzione di
una rivoluzione permanente. E pertanto ciò che la contraddistingue dall’arte accademica e convenzionale è la sua missione di antitesi al potere e alla convenzione. L’agire in nome dell’arte moderna (e la Fondazione intende farlo nei propositi dichiarati) comporta il distacco, quindi, dalle modalità e dai canoni comunicativi degli apparati in cerca di consenso; politici, innanzitutto. In altre parole, non si possono adottare gli stessi schemi e gli stessi argomenti di aggregazione usati normalmente dal Potere politico, in ogni loro forma. La posa della targa commemorativa a Cappato è stato pertanto un atto politico, condivisibile forse da molti, ma non c’entra nulla con i compiti della Fondazione (che è privata, ma soggetta al controllo pubblico). Sbaglia quindi Tringali nelle eccessive apparizioni mediatiche non connesse strettamente
alla divulgazione dell’arte. Tra l’altro, la sua notevole rassomiglianza fisica al sindaco Napoli (che però gli occhiali li porta dorati) ne fa involontariamente un sosia. Per cui, anche quando parla in pubblico da solo, Tringali sembra il Sindaco e ricorda un suo manifesto elettorale. Se proprio occorreva un evento mediatico di propaganda, più che la zappa per piantare una targa il Presidente Tringali avrebbe fatto bene a impugnare la cazzuola del muratore per sostituire le mattonelle scassate della fontana del compianto Ugo Marano, poeta della maiolica salernitana, abbandonata nell’incuria da anni. Quello sì che sarebbe stato un atto rivoluzionario, di indipendenza e di sfida al potere insensibile al messaggio artistico.