di Michelangelo Russo
Mercoledì 24 maggio, con cerimoni solenne, sarà dedicato a Trotula De Ruggiero uno degli edifici del nuovo Palazzo di Giustizia. Altri due palazzi renderanno col loro nome onore ad altrettanti nomi meritori, il compianto avvocato Dino Gassani e l’eccelso economista del XVIII sec. Antonio Genovesi. In comune con Trotula De Ruggiero, la salernità della loro origine. Ma, va detto subito che oltre la conterraneità, per Antonio Genovesi e Trotula De Ruggiero, niente lega il loro nome al contesto edilizio della cittadella giudiziaria. Il che è singolare per gli edifici giudiziari italiani; di norma dedicati, come del resto gli altri edifici pubblici, a personalità eminenti, per meriti professionali o sacrificio personale, nella disciplina collegata alla funzione del complesso edilizio da intitolare. Questa è una prassi che ha ben precisa motivazione, collegata a quella che si definisce la toponomastica dei luoghi pubblici. Ebbene, la toponomastica è, per definizione, l’intitolazione delle strade e delle piazze. L’identificazione, cioè, dei luoghi di convivenza sociale con nomi che servano di orientamento spaziale per i cittadini. La toponomastica ha quindi una funzione che va ben oltre il nome di battesimo del personaggio illustre da scegliere per il luogo stesso, e deve seguire regole precise: il personaggio omaggiato deve essere deceduto da almeno dieci anni, e qui ci siamo. Ma le intitolazioni devono seguire, principalmente per i nuovi quartieri e i nuovi edifici, criteri di omogeneità. I nomi delle strade, cioè, devono contenere richiami reciproci, per quanto possibile. Al quartiere Arbostella, ad esempio, comunque recente, troverete via Verdi accanto a via Wagner. Di talché il passante possa orientarsi sapendo che via Pascoli sicuramente non è distante, ad esempio, da via Carducci. Ben difficilmente qualcuno si sognerebbe, nella commissione comunale di toponomastica, soggetta al visto del Prefetto, di intitolare una strada nuova ad artista celebre accanto al nome di una via intestata a un condottiero. E allora, qual è l’omogeneità fra Trotula e Dino Gassani? Semplicemente, non c’è. E dire che una strada intestata a Trotula a Salerno c’è già, come pure ce l’ha Antonio Genovesi. A cui è intitolato lo storico Istituto Superiore d’Istruzione Antonio Genovesi, che, guarda caso, fa angolo con via Principessa Sichelgaita. Chi era costei? Donna straordinaria, longobarda, fu moglie di Roberto il Guiscardo. Ed è nella storia millenaria di Salerno. Fu condottiera valorosa e coraggiosa, combattendo sul campo a Durazzo col marito rimanendo ferita. E, contemporanea di Trotula, fu medichessa! Si, fu medichessa famosa anche lei, laureata, per così dire nella Scuola Medica Salernitana. Con una differenza, dalla sua collega Trotula. Di quest’ultima non abbiamo alcuna notizia certa e attendibile, se non scritti postumi a lei attribuiti. Mentre di Sichelgaita è piena la storia. Donna particolare, però, Sichelgaita. Era esperta di veleni. Il che, in qualche misura la accomuna alla scarsa fortuna che ebbero le medichesse nei secoli successivi, finendo sotto gli strali dell’Inquisizione che praticamente le bollarono come streghe e fattucchiere. Ma Trotula rimane algida e pietosa nella tradizione orale, più che scritta, delle donne famose. Fino ad assumere, in tempi più recenti, il ruolo di una sorta di femminista ante litteram, eroina di quella corrente della quota rosa che sta prendendo piede nel Palazzo di Giustizia locale, dove la componente femminile degli operatori professionali è in netta crescita e maggioranza (e le culle sono sempre più vuote, per vari motivi). Ma è un femminismo di maniera. Del tutto innocuo, e per nulla rivoluzionario. Temo che la povera Trotula sia, più che un simbolo di riscatto delle donne oppresse, un pretesto di rivendicazione di potere al femminile tout court. La fortuna giudiziaria di Trotula è iniziata in tempi recenti. Uno spettacolo teatrale di qualche anno fa, concepito e realizzato in ambito giudiziario, portò anche sui muri cittadini la sua immagine, tratta da una incisione medioevale, immersa in una tinozza. La quota rosa del Palazzo ebbe anche una vittoria di civiltà con l’istituzione di una stanza dell’allattamento, nel nuovo Tribunale, per operatrici di Giustizia. Ma pare che quella stanza sia scarsamente utilizzata. Ma allora, per fare onore a Trotula, non poteva la quota rosa fare appello al Potere cittadino per intitolare le sale del vecchio Tribunale, che cadono a pezzi, ad una prima istituzione museale che veramente fosse un omaggio a Trotula? C’è il Museo della Scuola Medica Salernitana che ha una collocazione patetica, a dir poco, ed è di una consistenza risibile, solo virtuale, al momento. Collocarlo nelle sale anguste e storiche del vecchio Tribunale, con la dedica a tutte le medichesse (Sichelgaita compresa) avrebbe avuto ben altra risonanza e fama di una targhetta in un androne del nuovo Palazzo di Giustizia. Ma scontrarsi con i progetti ancora misteriosi del Potere cittadino non è, forse, nelle forze e nelle prospettive delle quote rosa del Tribunale.