di Erika Noschese
Ad accogliere le donne vittima di violenza quando si recano in una caserma per denunciare dovrebbe esserci una donna: è la richiesta/appello lanciata dall’assessore del Comune di Pontecagnano Faiano, da sempre attiva nel sociale, accanto alle donne e coinvolta nel mondo dell’associazionismo. “Nell’ultimo periodo solo due richieste di codice Rosso che sono state accolte e questo perché, come ho già detto, ci sono poche denunce sul territorio”, ha dichiarato l’assessore Triggiano che ribadisce la necessità di denunciare ma anche e soprattutto di avere un gruppo che accompagni la donna nel percorso verso la sua libertà. Assessore, una tragedia ha sconvolto la comunità di Pontecagnano. Una giovane vittima distrutta da un uomo che diceva di amarla… “Effettivamente, ieri (martedì per chi legge ndr) la nostra città è stata colpita da questo evento drammatico. Ci siamo risvegliato e abbiamo preso che vicino a noi, nella nostra città, era successa questa brutta tragedia. Oggi siamo tutto sconvolti rispetto a quanto accaduto: pensiamo alle tre famiglie, a quella di Anna la cui vita è stata spezzata così in fretta da una mano folle, a quella di Alfredo e a quella di Alessandro. Oggi ci chiediamo tutti perché, cosa potevamo fare ma fondamentalmente quando succedono queste cose, imprevedibili, non c’è tempo di fare nulla né di aiutare perché non sappiamo cosa scatta nella mente di una persona che arriva a compiere un gesto drammatico come questo. Quello che è successo ci porta a riflettere, è il momento di fare silenzio, di unirci tutti insieme non per far sì che queste cose non accadano più perché sono eventi imprevedibili…Pontecagnano Faiano è una città di 30mila abitanti, facendo una considerazione personale: quando ci siamo trovati tutti insieme alla fiaccolata ho notato che ognuno di noi aveva qualcosa da raccontare del personale, rispetto a quanto successo e che se lo paragoniamo ci rendiamo sempre più conto che le denunce sono ancora poche. Dobbiamo capire perché si continua a denunciare poco, dove c’è l’intoppo per continuare un percorso e far sì che le persone si sentano protette dopo una denuncia per riconquistare la propria libertà, proprio come cercava di fare Anna da tempo”. Le istituzioni giocano un ruolo fondamentale, cosa si dovrebbe fare per far sì che la morte di Anna in qualche modo cambi le cose, aiuti le donne a denunciare e a rivolgersi agli organi competenti… “Con il piano di Zona, la consigliera Gerarda Sica, gli assistenti sociali e la psicologa, la dottoressa Martusciello e le associazioni del territorio – perché le associazioni hanno sempre portato avanti questo tema con grande forza e grande rabbia – abbiamo aperto un punto di ascolto. Con la richiesta dei beni confiscati in litoranea abbiamo già, con il sindaco e l’amministrazione tutta, deciso di destinare uno dei due beni – nel momento in cui ci vengono affidati – ad un centro antiviolenza. Dobbiamo accogliere queste persone perché noi possiamo spingere a denunciare, possiamo ascoltarli 24 ore su 24 ma dopo noi dobbiamo garantire a queste donne e a questi uomini un posto sicuro dove possono reintegrarsi sia psicologicamente sia fisicamente nella realtà, continuando un percorso di vita in piena tranquillità e serenità”. Conosceva Anna? “Io conoscevo Anna di vista, faceva la parrucchiera ed aveva un’età giovane e ho avuto modo di incontrarla varie volte. Non conoscevo i dettagli della sua vita privata, non sapevo di questo incubo. È normale che nel momento dell’accaduto sono state rese note una serie di informazioni che ci portano oggi a pensare che lei vivesse un incubo da diverso tempo. Si è impotenti rispetto a questa tragedia: la donna ha una trasformazione, rispetto all’uomo, quando è innamorata perché all’inizio va tutto bene, poi diventiamo crocerossine e nella mente scatta sempre la difficoltà di denunciare una persona che ci ha amate e che abbiamo amato. È anche su questo che dobbiamo lavorare ma in questo momento dobbiamo rivolgerci ai ragazzi, ai bambini del territorio e dobbiamo di nuovo portare nelle scuole il rispetto per il sentimento, sia bello o meno, perché solo così possiamo arginare questo fenomeno che altro non è che un fattore culturale. Se noi alziamo il concetto di cultura, facciamo capire che determinate persone vanno emarginate se non vogliono essere aiutate e dobbiamo fare in modo che i giovani capiscano il rispetto verso il sentimento; politicamente, dobbiamo riguardare la legge rispetto a questa materia”. Ci sono iniziative in programma per ricordare Anna? “Noi, con l’associazione del territorio, stavamo organizzando un evento al museo in occasione della Festa della Donna coinvolgendo il progetto “Volare” con le detenute del carcere e acquistando prodotti fatti da loro avremmo dato i soldi in beneficenza all’Ucraina; eravamo sull’unico tema che ci stava destando preoccupazione ma ora siamo in stand by: dopo la fiaccolata di ieri non sappiamo come celebrare la festa della Donna, in una situazione ancora precaria e oggi non sappiamo quando ci saranno i funerali con Alessandro ancora in ospedale. Per la parità di genere non avremmo festeggiato questa giornata ma volevamo lanciare un messaggio importante con questo evento, aiutando donne e bambini con l’Ucraina. Cerchiamo ora di capire il segnale che possiamo lanciare ma ora c’è un sentimento di rabbia, abbiamo poche parole, serve silenzio per metabolizzare quanto accaduto e stare vicino alle famiglie”. Lei è presente sul territorio, accanto alle donne da sempre. Ci sono state richieste particolari che le sono giunte? C’è un allarme? “Mi sono confrontata sia con la consigliera Gabriella Vernieri, molto addentro a questa tematica, sia con la consigliera Gerarda Sica. Se non erro, nell’ultimo periodo solo due richieste di codice Rosso che sono state accolte e questo perché, come ho già detto, ci sono poche denunce sul territorio. Non abbiamo effettiva prontezza della problematica rispetto a questa tematica; il Piano di Zona con lo sportello d’ascolto e con tutta la struttura lavora tanto”. Da assessore, donna e mamma cosa direbbe alle donne ora? “Io invito sempre a denunciare ma mi rendo conto che l’invito a denunciare deve essere accompagnato da un supporto importante, dobbiamo fare un cammino insieme per far sì che una volta fuori dalla Caserma dei Carabinieri nessuna di loro possa sentirsi sola. Devono sentirsi parte di una squadra, un gruppo che resterà vicino alla donna nel suo cammino verso la libertà. La prima cosa importante è avere una donna quando si va a denunciare perché c’è sempre una forma di paternità quando si ha a che fare con un uomo e credo che una donna sappia cosa significhi, sposa la causa e da una forza maggiore per continuare il percorso”.