Di Federico Sanguineti
La Compiuta Donzella è una poetessa che non può che porre problemi più o meno imbarazzanti, per non dire francamente irrisolvibili, alla storiografia borghese scolasticamente ufficiale. Primo fra tutti: è storicamente esistita oppure è una invenzione letteraria? Detto in altri termini: il nome è autentico o fittizio? Che, «tutto sommato», si tratti di uno pseudonimo, a parere di Gianfranco Contini, «sembra meno improbabile». Ma, ammesso che sia così, resta da chiarire quale nome anagrafico si celi effettivamente dietro il soprannome. Soccorre a riguardo l’ipotesi formulata da una studiosa, Carla Rossi, che offre significativi argomenti all’identificazione con un personaggio reale, individuando nei testi l’epiteto «gaia» come senhal che rinvierebbe al personaggio, noto anche a Dante (Pg XVI 140), di Gaia, figlia di Gherardo da Camino. Del resto, si può osservare che, rifiutando la soluzione offerta dalle trovatrici (la legittimità dell’adulterio cortese), Compiuta Donzella si trova in una condizione di soggezione al patriarcato borghese, il che la induce, come si legge nel sonetto suo più celebre, A la stagion che ’l mondo foglia e fiora (cioè in piena stagione primaverile), a sottostare in matrimonio all’uomo scelto per lei dal padre. Ecco il celeberrimo sonetto: «A la stagion che ’l mondo foglia e fiora / acresce gioia a tut[t]i fin’ amanti / [e] vanno insieme a li giardini alora / che gli auscelletti fanno dolzi canti; // la franca gente tutta s’inamora, / e di servir ciascun trag[g]es’ inanti, / ed ogni damigella in gioia dimora; / e me, n’abondan mar[r]imenti e pianti. // Ca lo mio padre m’ha messa ’n er[r]ore, / e tenemi sovente in forte doglia: / donar mi vole a mia forza segnore, // ed io di ciò non ho disìo né voglia / e ’n gran tormento vivo a tutte l’ore; / però non mi ralegra fior né foglia». Si capisce che in questi versi uno storico borghese della letteratura come De Sanctis riscontri uno «stupendo esempio», romanticamente degno di essere celebrato, di «perfetta semplicità». Nel paragonare così il testo di Compiuta Donzella a un analogo sonetto primaverile (Quando l’aira rischiara e rinserena), «similissimo» per «concetto» e «condotta», in cui un poeta, Bondie Dietaiuti, lamenta la propria infelicità amorosa, De Sanctis, riconoscendo in modo stereotipato, da un lato, «superiorità d’assai di gusto e di forma» al prodotto maschile, giudicato espressione di «cosa perfetta» e «maggior cultura», si lascia tuttavia sedurre dalla «perfetta semplicità del sonetto femminile, con movenza più immediata, più vivace e più naturale». Fatto sta che a Compiuta Donzella, in alternativa al matrimonio borghese non resta, di fronte al tramonto del mondo cortese, che l’isolamento dal mondo e la scelta religiosa del convento (il «Dio servire» del verso iniziale riecheggia l’incipit del sonetto del Notaio Giacomo da Lentini, Io m’aggio posto in core a Dio servire): «Lasciar vor[r]ia lo mondo e Dio servire / e dipartirmi d’ogne vanitate, / Però che veg[g]io crescere e salire / mat[t]ezza e villania e falsitate, // ed ancor senno e cortesia morire / e lo fin pregio e tutta la bontate: / ond’io marito non vor[r]ía né sire, / né stare al mondo. per mia volontate. // Membrandomi ch’ogn’uom di mal s’adorna, / di ciaschedun son forte disdegnosa, / e verso Dio la mia persona torna. // Lo padre mio mi fa stare pensosa, / ché di servire a Cristo mi distorna: / non saccio a cui mi vol dar per isposa». Del verso «Membrandomi c’ogn’om di mal s’adorna», si ricorderà Dante in Pd III 106, finalmente per far dire a Piccarda: «Uomini poi, a mal più ch’a bene usi».