La violinista sta svolgendo tre giorni di masterclass agli allievi del Conservatorio “G.Martucci”. Oggi alle ore 13,30 performance dei cameristi nella sala concerti dell’istituzione
Di Olga Chieffi
E’ vanto delle massime orchestre creare il maggior numero possibile di gruppi da camera utilizzando i musicisti del proprio organico. L’indimenticato Herbert von Karajan stimolava ininterrottamente i suoi musicisti in questo senso. Essi devono imparare ad ascoltarsi a vicenda, devono comunicare musicalmente nel più piccolo e amichevole dei cerchi, per poi affiatarsi nella grande famiglia musicale che un’orchestra è. Questa la ragione e il prestigio che il Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” guidato da Fulvio Maffia, offre ai propri studenti ospitando una masterclass di Abigeila Voshtina, sovrintendente dell’Opera di Tirana, nella cui orchestra stanno suonando quattro strumentisti della nostra istituzione, certamente conosciuta dai musicofili quale Konzertmeister d’elezione di Lorin Maazel, per l’eleganza e il gusto musicale. Una masterclass che principiata ieri, oggi alle 13,30, avrà il suo clou in una performance pubblica dei migliori allievi, nell’aula 29. La scintilla donata da Abigeila Voshina, sarà tesa a favorire l’evidenza, la chiarezza, la linearità di un percorso musicale sempre di incantevole bellezza con questi giovani musicisti che certamente riusciranno a calarsi nella logica del zusammen musiziren con gioia, grazie anche alla scelta di programmi adatti alle loro possibilità. Tradizione, modernità, fedeltà ai valori formali classici, approfondimento della ricerca del suono, sono le costanti di quel linguaggio e traguardo sempre teso a raggiungere l’equilibrio tra questi fattori, oltre, naturalmente, la coerenza stilistica ed espressiva. Motivazioni di un tale atteggiamento artistico che saranno da ricercare in un culto di valori considerati imprescindibili dall’idea stessa di musica. Venerdì il matinée verrà inaugurato dall’esecuzione dei due primi movimenti di una delle ultime opere di Friedrich Kuhlau, scritta nel 1831, il suo Grand Trio in sol maggiore, op.119 per due flauti e pianoforte, del quale lo stesso compositore ha arrangiato la seconda parte per flauto per violoncello o fagotto. Tecnica spinta e bel suono per i due flautisti Andrea Tedesco e Giuseppe Cammarota con al pianoforte Vittorio Bonanno, nel movimento di apertura, Allegro moderato, ove il tema principale, intenso e sentimentale, è introdotto dal pianoforte. Nel secondo movimento, Adagio patetico, la sezione centrale dal suono caro alla tradizione ungherese sarà particolarmente degna di nota per l’uditorio. L’arte del dialogo a tre sarà espressa dal pianista Davide Cesarano, dalla violinista Bianca Agostini e dalla cellista Ludovica Ventre. Sui leggii Il gusto per la frase elegante e di intonazione sentimentale, nel contesto di una forma chiara e precisa nelle sue componenti melodiche e ritmiche, del Trio élégiaque in re minore op. 9, che è il secondo con lo stesso titolo scritto da Sergej Rachmaninov nel 1893. L’obiettivo del compositore è di dare risalto alla specifica personalità dei tre strumenti in un gioco di misurato equilibrio tra le parti nelle quali quello che conta è l’espressione dello stato d’animo dell’artista. L’abilità e l’originalità del compositore si rivela soprattutto nel movimento centrale, dove predomina il concetto della variazione, largamente introdotto dall’autore in molti suoi lavori sinfonici, più largamente conosciuti di questa pur pregevole pagina cameristica. Al di là della freschezza e scorrevolezza tematica, il Trio si lascia ammirare per la suadente e morbida evocazione di un mondo armonico acquisito culturalmente da ciascuno di noi e le cui sincere emozioni sono dettate dagli impulsi del cuore, nel rispetto delle scelte estetiche di scuola romantica. Gran duo sarà quello composto dal chitarrista Luca Battipaglia e la pianista Giovanna Basile, che si cimenteranno con l’esplorazione delle possibilità cameristiche offerte dalla chitarra del duo dedicato a Segovia e alla moglie Paquita Madriguera, buona pianista che era stata allieva di Granados di Mario Castelnuovo Tedesco, con la Fantasia op.145, la cui abilità di pianista e compositore gli permette di affidare al pianoforte una parte leggera ed evanescente tra le cui righe si può intuire chiaramente la presenza di Debussy; inoltre alcuni elementi della Fantasia hanno un carattere decisamente spagnolo, che fanno pensare a de Falla. tecniche come l’imitazione, l’inversione del tema, l’uso dello stesso materiale armonico o melodico in contesti dinamici diversi, quindi con diverso effetto. L’opera si articola in due movimenti: il primo, a sua volta diviso in varie sezioni senza soluzione di continuità, da un’introduzione morbida e sognante (quiet and dreamy), attraverso un episodio più fluido e modulante (un poco più mosso e scorrevole), sfocia in un Più mosso e danzante di sapore chiaramente iberico, molto ritmico e con effetti percussivi. Da qui si ritorna all’episodio iniziale, con una piccola coda che ripropone uno dei temi della sezione centrale. Il secondo movimento Vivacissimo, leggero e volante, gode di un agile trattamento degli strumenti che si alternano e si scambiano continuamente i due temi principali. Opzione saranno i Cuatro piezas para dos Gerald Schwertberger, dalla fresca e comunicativa invenzione. Nei linguaggi delle diverse culture, ci imbattiamo, di quando in quando, in termini che sono difficilmente traducibili con un’unica parola italiana. La saudade brasiliana, ad esempio, corrisponde vagamente alla nostra malinconia, ma non è solo malinconia. La saudade è un sentimento più complesso e variegato che affonda le sue radici nella cultura, nella storia, nella gente e perfino nel clima del grande Paese sudamericano, o ancora, il blues, o il duende. Ma la musica ha il grande potere di non aver bisogno di parole, per arrivare dritta al cuore. Lo stesso accade per il termine slavo dumka, che in verità un po’ si avvicina alla saudade brasiliana. Dumka deriva dal verbo dumati, meditare, rimembrare, ma talvolta assume anche le sembianze di una vera e propria forma poetica e musicale, una ballata elegiaca che canta le gesta degli eroi appartenenti alla cultura popolare, paladini di pace e libertà. “Dumky”, il plurale di dumka, è il nome con il quale è universalmente noto uno dei capolavori di Antonín Dvořák, il Trio n. 4 op. 90 in mi minore composto nel febbraio del 1891 ed eseguito per la prima volta a Praga qualche mese dopo con lo stesso Dvořák al pianoforte. La composizione, che ci verrà proposta da Aldo Pessolano al pianoforte, Mariateresa Nappo al violino e Alessia Mingo al cello, suddivisa in sei “quadri”, è quanto mai variabile nelle indicazioni dinamiche e di tempo (sono decine gli scarti di movimento che si incontrano nella partitura) eppure risulta estremamente fluida: un fiume di sensazioni, colori e danze che scorre senza interruzioni, un fiume che passa tumultuoso, poi si placa, quasi si arresta, poi rinasce spumeggiante e prende nuovo vigore provocando nell’ascoltatore un mix di sensazioni e stati d’animo. La “Dumka” n. 1 si apre con un Lento maestoso intriso di lirismo dove il violoncello disegna una melodia che sembra quasi un lamento. Poi, improvvisamente, entra la luce, sotto forma di un intermezzo “zingaresco”, ma ancora ritorna ed ha il sopravvento il motivo iniziale in mi minore fino ai passi di danza delle ultime battute che riaprono uno spiraglio. Anche nella Dumka n. 2 sono ben presenti i contrasti fra lamento malinconico e ritmi funambolici che portano freschezza e serenità. Schema replicato anche nella Terza, con l’alternarsi fra un Andante in tre quarti e un Vivace in due quarti. La Quarta Dumka, in forma di rondò, chiama il violoncello a descrivere il tema principale in re minore. La Quinta è costituita da un unico Allegro basato su episodi ritmici dove i due strumenti ad arco sembrano fare a gara nell’imitarsi. La sesta, infine, dopo un motivo lento in do minore ed un passaggio un poco più mosso, sfocia nel travolgente finale.