di Erika Noschese
La giustizia ha tracciato un solco definitivo nella vicenda della strage del 28 luglio 2013, quando un pullman carico di vite innocenti precipitò dal viadotto dell’autostrada A16 Napoli-Canosa, una ferita ancora viva nel tessuto della memoria collettiva italiana. La recente sentenza della Corte di Cassazione ha posto un sigillo sulle responsabilità, confermando le condanne per coloro che, a vario titolo, sono stati ritenuti colpevoli di quel tragico evento. Tra questi, figura Antonietta Ceriola, all’epoca dipendente della motorizzazione civile di Napoli, la cui posizione, in relazione alle procedure di revisione del mezzo, è stata oggetto di un lungo e complesso iter giudiziario culminato nella conferma della pena a quattro anni di reclusione. Per comprendere appieno le implicazioni di questa sentenza definitiva e le prospettive future per la sua assistita, abbiamo incontrato l’avvocato Francesco Dustin Grancagnolo, legale difensore di Antonietta Ceriola. In questa intervista esclusiva, cercheremo di approfondire le sue prime reazioni al verdetto della Suprema Corte, le argomentazioni difensive che hanno accompagnato il percorso giudiziario e le possibili strategie legali che potrebbero ancora essere intraprese. L’esito di questo processo segna un momento cruciale per i familiari delle vittime, ma solleva al contempo interrogativi sulle dinamiche di responsabilità e sulle conseguenze per coloro che, a vario livello, erano preposti alla sicurezza di quel viaggio fatale. Leggiamo, dunque, le parole dell’avvocato Grancagnolo per fare luce su un capitolo cruciale di questa dolorosa vicenda. Una strage imponente. Ora c’è una decisione definitiva. «La sentenza di cui si è parlato tanto, riguardo la strage di Acqualonga, l’incidente stradale che causò la morte di 40 persone. Difendo l’impiegata della motorizzazione civile, una salernitana, Antonietta Ceriola. La notizia circola principalmente come condanna di Castellucci, perché il personaggio noto tra i vari imputati, ma è questo l’avvenimento: è l’incidente stradale più grave che sia mai accaduto sulla rete autostradale europea, per numero di morti e feriti. In buona sostanza la notizia, rispetto a prima, è che la Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi e ha accolto solo il nostro motivo rispetto alla pena, rideterminandola in 4 anni e rigettando i ricorsi per tutti gli imputati, di conseguenza». In che misura la sua assistita, la salernitana Ceriola, è coinvolta nella strage di Acqualonga? «Lei è implicata in questa vicenda perché, secondo l’accusa che poi è diventata sentenza, avrebbe falsificato la revisione di questo autobus. La vicenda si è protratta così tanto a lungo perché ci sono più di quindici imputati. Cioè, è come se fosse un processo diviso in due: da un lato c’è il proprietario dell’autobus, Lametta Gennaro, e la mia assistita, Ceriola Antonietta, per la questione relativa alla revisione. Dall’altro lato c’è tutto il gruppo di Autostrade per l’Italia, dall’amministratore delegato del tempo, che per l’appunto è Castellucci, fino all’ultimo dei dipendenti che poteva rispondere di un evento del genere, perché lì i new jersey non hanno ceduto all’impatto con l’autobus, ed è quindi precipitato dal viadotto di Acqualonga. Per questa ragione hanno perso la vita 40 persone». Qual è stato l’iter giudiziario per la Ceriola? «In Corte d’appello, io la difendo dall’appello, lei fu condannata in primo grado a 8 anni di reclusione. Dopodiché proponemmo un appello, la corte accolse un nostro motivo ma non rideterminò la pena. Tra i vari motivi del ricorso per cassazione c’era un motivo anche sulla pena, che la Cassazione ha accolto. Di riflesso ha dovuto farlo anche per il proprietario del pullman, perché quella questione riguardava entrambi». Sono previste ulteriori mosse? «Stamattina (ieri per chi legge, ndr) si saranno andati a costituire un po’ tutti i vertici di Autostrade, perché Castellucci è stato condannato a 6 anni. La Ceriola, di fatto, è stata condannata e dovrà scontare 4 anni. Per le pene pari o inferiori a 4 anni non c’è il carcere in automatico. La condanna le dà diritto ad avere una misura alternativa alla detenzione in carcere».





