di Alberto Cuomo
Aveva iniziato a criticare la dirigenza del suo partito dopo le elezioni: «l’unico che ha avuto una posizione critica nei confronti della linea politica viene aggredito. Tutti quelli che hanno la responsabilità del disastro elettorale fanno i rinnovatori… il tempo delle finzioni e delle cialtroneria è finito». Quando ha compreso che la segretaria Elly Schlein faceva sul serio a proposito della volontà di liberare il Pd dai cacicchi, non approvando il terzo mandato per i governatori regionali, è andato in fibrillazione e dopo aver represso la sua rabbia per qualche mese De Luca è infine scoppiato questa estate con invettive e improperi contro la dirigenza democrat, proprio come accade nelle dispute paesane quando coloro che sono a corto di argomenti divengono aggressivi. Il clou è avvenuto in occasione della recente festa dell’Unità a Napoli allorchè dal palco Marco Sarracino, responsabile per il Mezzogiorno del partito e Roberto Fico dei 5Stelle hanno ribadito il no al terzo mandato già da tempo deciso dalla Schlein. «Il problema non è il terzo o quarto mandato – ha inveito – il problema per il Pd è Vincenzo De Luca, un uomo libero, senza padroni. Questa cosa mi diverte». Singolarmente proprio De Luca il quale sostiene di discendere dal glorioso Partito Comunista, smentisce, come mai avrebbe fatto un vecchio compagno, in nome della propria libertà di azione, la linea del partito e con essa la segreteria e i dirigenti centrali giudicandoli pinguini, imbecilli, anime morte. cafoni, maleducati. A chi gli chiede i nomi risponde quindi con l’invito a leggere una poesia di Trilussa, «La lumachella della vanagloria»: «La lumachella de la vanagloria/ch’era strisciata sopra un obelisco/guardò la bava e disse: già capisco/che lascerò un’impronta ne la Storia». Nel considerare che proprio De Luca ha mostrato più volte di voler fare la storia e che l’obelisco non può non essere il partito, viene da pensare che la lumachella sia proprio lui. Dopo aver annunciato di voler compiere un tour in Italia «per portare avanti un’idea di partito diverso dall’attuale» gli è stato chiesto se avesse intenzione di formare una corrente «non farò mai una corrente, al massimo mi candiderò al Papato» ha risposto, togliendosi di imbarazzo, tanto più che le correnti che si vanno formando nel Pd sembrano costituirsi in ragione delle prossime elezioni europee essendo tutte, o quasi, in appoggio dell’attuale segretaria. Ha infine sfiorato il ridicolo quando, vantandosi di essere il più votato nel partito democratico, ha chiesto che il Pd, invece di discutere di «fesserie» meglio avrebbe fatto a vantarsi dei risultati ottenuti in regione Campania grazie «al sangue che abbiamo buttato». Se si pensa a come è ridotta la sanità in Campania dove molte risorse vengono spese in appalti per costruire ospedali inutili e per sostenere le strutture private viene veramente da sorridere amaro. In generale basterebbero le poche battute riportate per comprendere come De Luca non abbia alcun senso democratico. La democrazia prevede infatti il ricambio e, contrariamente a quanto egli sostiene, che cioè solo gli imbecilli vadano cambiati, la storia insegna che spesso gli imbecilli, ovvero i mediocri, votati da altri mediocri, si appropriano del potere per rimanervi attaccati, compiendo danni epocali. Un tema quello della mediocrità della politica caro al presidente del Censis Giuseppe De Rita per il quale «Il paese è “mediocre”, il governo Meloni è “mediocre”, l’opposizione di Conte è “mediocre”. La mediocrità che connota l’Italia è uno stato di sospensione: un “galleggiamento” che dura da un pò troppo tempo». E se in un suo testo del 2017 Alain Deneault filosofo-politico franco canadese ha messo in luce come nella nostra età della computerizzazione vi sia stata una presa di potere da parte dei mediocri con l’instaurazione globale del loro regime in ogni ambito della vita umana, Giuseppe De Rita rileva che sia «la mediocrità individualistica» italiana, a indurre il persistere di una classe media mai diventata borgese, rimasta piccoloborghese attenta ai propri orticelli, tale da determinare una «stasi depressiva» da cui si esce solo con uno choc. In poche parole per Deneault è l’industrializzazione del lavoro sia manuale che intellettuale favorita dai mezzi informatici e, in particolare, la sua espressione ultima, la «Corporate Religion», la religione d’impresa che offre compiti parcellizzati per pervenire a risultati ottimali, a non determinare i «soggetti collettivi» propri alla politica e alla democrazia mentre per De Rita è la mediocrità individualistica dei politici a far sì che il nostro paese si sia invischiato nelle opinioni, in slogan volatili e condannati all’impermanenza che favorisce un voto instabile non ideologico, da parte di un popolo variegato che sceglie sull’onda emotiva dei propri interessi, tanto intensa quanto infeconda, poiché autoreferenziale. Le stesse correnti, irrise da De Luca, prevedono infatti un sentire comune rivolto ad obiettivi politici, mentre il presidente della Campania appare affetto proprio da quell’individualismo attento solo ai propri interessi politici, tale da non costituire una vera e propria classe dirigente che non sia a propria immagine e somiglianza, se non al suo servizio. Del resto che fine hanno fatto i Piero De Luca, i Bonavitacola, i Graziano, quando sono stati candidati senza paracadute? E quale il risultato del suo Pd arrivato al 16 per cento a fronte del 19 per cento di quello nazionale? Si convinca De Luca, non è la vittima degli imbecilli, della mediocrazia, o, secondo Sartori «asinocrazia» ma uno dei suoi artefici.