Servono ancora le Regioni? - Le Cronache Ultimora
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Servono ancora le Regioni?

Servono ancora le Regioni?

 

Antonio Manzo

 

La domanda, alla vigilia del voto, è d’obbligo; servono ancora le Regioni? “Andate a votare” è l’ultimo, disperato appello dei contenenti alla presidenza della Regione, Roberto Fico e Edmondo Cirielli. Oggi e domani urne aperte. Poi si vedrà.  E’ il segnale certo di una disaffezione costante che, a quarant’anni e passa dalla loro istituzione (1970), per la prima volta viene percepita come una domanda di crisi profonda che fa apparire,  ombre dal fondo, la prima, vera diserzione in tempi di democrazia traballante.

Se da un lato, l’attualità consegna le penetranti riflessioni sulla storia del regionalismo in Italia formulate da uno storico della politica come Isaia Sales e il manager aziendali Pietro Spirito.  Molto opportunamente riprendono la discussione del libro mercoledì prossimo a Salerno  ad urna aperte, a risultati chiari tra i quali vi sarà anche la bassa partecipazione al voto. E, soprattutto, le riflessioni saranno potate di giudizi politico o storici troppo impastati da polemiche elettorali che hanno segnato i giorni della pubblicazione.

La profezia salernitana

Ma Sales e Spirito , ben oltre il Duemila,  saranno a discutere  della fallita frantumazione iper-regionalista dal 1970 ad oggi dopo una “profezia” sulla istituzione delle Regioni (1947) che un parlamentare salernitano Carmine De Martino pronunciò nei lavori dell’Assemblea Costituente se non fosse stat preceduta da attenta legislazione. Eccole, come trascritte dagli atti parlamentari dell’epoca:  “Anziché pensare a risolvere i problemi più vitali della Nazione penseremmo a creare degli impiegati” dice alla Camera dei Deputati.

Siamo a mercoledì 29 ottobre 1947 e nella seduta pomeridiana dei lavori parlamentari preparatori della Costituzione, presidente d’aula il comunista Umberto Terracini, prende la parola  il deputato Carmine De Martino, di banchi del gruppo parlamentare misto prima di iscriversi  a quello della Democrazia Cristina nel 1953. Ha presentato ed ora illustra un ordine del giorno che ratifica l’istituzione della Regione, ma “chiede al Parlamento di rinviare l’applicazione della norma” perché nella discussione generale si era appena conclusa la querelle sulla denominazione della regione Abruzzo-Molise con il riconoscimento pieno ai molisani. “Io ritengo di essere un modesto organizzatore – dice Carmine De Martino all’aula – e l’organizzazione della Regione non la vedo così facile. Pensiamo a quello che succederà. Pensiamo anche alle spese. In Italia abbiamo già un milione e duecentomila impiegati dello Stato. Anziché risolvere i problemi del Paese distrutto creeremo degli impiegati”.

De Martino non è solo un deputato ma da giovane manager ha già all’attivo la  realizzazione di una serie di tabacchifici nel Piana del Sele che danno il pane a migliaia di persone.

“Qui non si tratta di partiti, ma di economia” aggiunge nel suo intervento dopo aver dichiarato di votare sempre in conformità dei voti dati dalla Democrazia Cristiana e “penso che non facendo parte ufficialmente della Democrazia Cristiana io sto a posto con le mia coscienza. L’ordine del giorno sarà bocciatp delll’aula dopo un intervento del deputato Dc Attilio Piccioni e dopo l’intervento di Palmiro Togliatti “per evitare di rimettere in discissione tutto il problema dell’ordinamento regionale come già l’abbiamo esaminato e deciso”. Lo contrasta il deputato Pci Umberto Nobile (nato a Lauro ma ebolitano di famiglia)  che chiede la votazione dell’ordine del giorno presentato da De Martino. La Camera boccerà l’ordine del giorno del deputato De Martino.

 

La crisi di oggi

Non c’è stato confronto di idee e programmi, definiamoli benevolmente così, nel corso dell’appena conclusa campagna elettorale che non sia stato seguito con interesse dall’elettorato. Il sistema proporzionale che induce ad una personalizzazione politica esasperata è venuta fuori in tutta la sua negatività. Sia pure con alcune lodevoli eccezioni che sono state nascoste dai social e dai manifesti. Inutile chiedere ai partecipanti ragioni istituzionali e compiti delle Regioni in tempi nei quali  il trasferimento di ulteriori poteri alle Regioni si sono fusi nel dibattito sull’Autonomia differenziata. Candidati a caccia di un posto di lavoro nel seggio al Consiglio regionale, aspiranti che giocano a fare i vice-leader in classifiche che non esistono avrebbero potuto mai chiedere un voto su una idea, su un programma su cose da fare o, quel che è più serio, di cose fatte e realizzate in una  pregressa esperienza amministrativa? Solo aspiranti ad un seggio e occupatori di una istituzione da amministrare con il tornaconto politico e spesso clientelare. Nessuno che si è presentato all’elettorato dicendo quel che fa nella vita professionale  (pochissimi) ma, soprattutto, esponenti politici che hanno vissuto con ignoti compensi di amministratori in carica nei Comuni.

Domani sera non ci saranno exit poll ma voti e cifre. E si vedrà chi ha vinto la partita spesso giocata con dilettanti allo sbaraglio. O più attuali, dei  Sinner dei poveri che confondono la racchetta con il vassoio da pic-nic.