Alberto Cuomo
Negli anni passati, quando era ancora in servizio, in alcune affermazioni, Pier Camillo Davigo, ex sostituto procuratore (non “emerito” come si suole dire spesso dei magistrati in pensione, essendo il titolo riservato, con decreto del ministro, solo ai professori universitari di particolare prestigio) ha sostenuto che “nessuno viene messo dentro per farlo parlare; viene messo fuori se parla” e che “non esistono innocenti; esistono solo colpevoli non ancora scoperti” o anche, che “non ci sono troppi prigionieri; ci sono troppe poche prigioni”, tanto più che “i politici non hanno smesso di corrompersi, hanno smesso di vergognarsi, anzi rivendicano ciò che prima facevano di nascosto, e quindi si guardano bene dal varare riforme efficaci per scoperchiare e combattere il malaffare”. A proposito del suicidio di Sergio Moroni, messo alla gogna attraverso l’esposizione mediatica di suoi presunti reati, Filippo Facci ricorda poi che lo stesso Davigo cinicamente disse che “le conseguenze dei delitti devono ricadere su chi li ha commessi, non su chi li ha scoperti”. Per Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore capo di Milano, ex membro del Csm, per anni all’Associazione nazionale magistrati, contraddicendo Davigo, “non esiste una magistratura buona contro un’Italia di cattivi, vederla così è in linea di principio sbagliato, e inoltre si scontra con la realtà”. Invero, secondo l’articolo 358 del Codice di Procedura Penale, “Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 (azione penale) e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. Probabilmente è qui, in questo articolo, il motivo che fa del pubblico ministero un magistrato, sì che, allorquando un procuratore espone i concetti di Davigo, e se, peggio ancora, pretende di metterli in pratica nelle indagini, ritenendo l’indagato colpevole a-priori, come è accaduto ad esempio per la cosiddetta tangentopoli milanese (della presunta tangentopoli salernitana meglio non dire) forse è opportuno interrogarsi sul ruolo delle procure. Se poi si pensa all’eccessiva lunghezza dei procedimenti, oltre 5 anni per quelli penali con 130mila prescrizioni che scattano ad ogni capodanno, spesso dovute alla durata delle indagini, con altrettanti delitti senza castigo, non si può non ritenere opportuna la volontà del governo di procedere ad una riforma della giustizia che contempli la separazione delle carriere. Contro tale misura, che pone i procuratori solo dal lato delle indagini, la magistratura, mostrando ancora la propria sudditanza rispetto alle procure, ha dichiarato nello scorso febbraio, attraverso il proprio sindacato, l’ANM, uno sciopero generale, arrestando per un giorno ogni attività. A dire dei magistrati la legge, ovvero la separazione delle carriere sarebbe anticostituzionale perché minerebbe la loro autonomia. Niente di più falso dal punto di vista costituzionale e logico. Da un lato infatti la costituzione già prevede diversi ordinamenti giurisdizionali autonomi e separati per materia, quali la Corte dei Conti e la magistratura amministrativa. Prevedere una ulteriore funzione esclusivamente inquirente, in autonomia, non sarebbe pertanto contrario alla Carta. Inoltre con lo sciopero i magistrati sono caduti in una palese contraddizione: se infatti nella Costituzione, a proposito della giustizia, non è scritto in nessun punto il termine “potere”, l’insistenza della magistratura nel definirsi, anche nei documenti dell’ANM, un potere dello Stato, conduce ad interpretare l’astensione dal lavoro come lo sciopero di una parte dello Stato contro lo Stato stesso, o un’altra parte dello Stato, così come ha rilevato l’ex procuratore Antonio Di Pietro, in un conflitto che in definitiva non è nell’interesse dei cittadini e, quindi, dello Stato. Del resto avere una gestione autonoma delle procure, da un lato libera i magistrati giudicanti da possibili soggezioni (si ricorderà che proprio a Salerno, nel periodo della presunta tangentopoli un gip appariva, almeno all’esterno, del tutto disposto a firmare gli ordini di arresto) e, dall’altro, offre ai procuratori una maggiore disinvoltura nelle indagini secondo il senso delle frasi di Davigo. E sarà forse la difficoltà odierna di sviluppare indagini più stringenti a bloccare oggi le procure. Si pensi alla Campania o a Salerno. La venuta a Napoli del procuratore Gratteri, che tanto bene aveva fatto in Calabria, lasciava immaginare inchieste analoghe a quelle calabresi per lo scacco, o almeno la messa in crisi della camorra e dei suoi invisibili fiancheggiatori, mentre nel suo “bilancio” dello scorso anno, a parte qualche intervento dimostrativo su alcuni clan delle ecomafie, si è soffermato principalmente sulla maggiore sicurezza nel centro storico napoletano dovuta all’aumento delle telecamere e delle forze dell’ordine da lui voluto. A Salerno, dove pure sono stati arrestati esponenti politici vicini alla camorra e sospesi dall’esercizio delle proprie funzioni alcuni favoriti dal “sistema” De Luca, non si è entrati nel cuore della corruzione che pure è presente in città. Forse non è reato attivare atti a vantaggio di pochi e in danno ai cittadini e la gestione del Puc o quella del Piano del porto, al modo milanese, appare del tutto legittima, sebbene nell’arricchimento di limitati soggetti si invade la città ed il suo mare di cemento, in un danno culturale, estetico, ambientale, paesaggistico, economico per Salerno ed i cittadini. E però pure è frustrante affidarsi alla sola giustizia celeste.





