Scritture di luce nel pathos dello sport - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Scritture di luce nel pathos dello sport

Scritture di luce nel pathos dello sport

Di Vito Pinto

A voler risalire all’etimo, si scopre che la parola fotografia è la congiunzione di due parole greche a significare che ogni immagine è una “scrittura di luce”. E qui giova mettersi a riflettere su quelle immagini che, al di là di ogni personale raccolta di ricordi, entrano di diritto nell’immaginario collettivo come forme di un’arte che si pensava potesse scomparire con l’avvento di nuovi sistemi comunicativi, ma che invece si è rafforzata soprattutto per le evoluzioni tecniche che facilitano la diffusione del prodotto finale. Fermo restando che la fotografia non è frutto diretto della immaginazione umana e del suo operato, come normalmente lo sono un dipinto, una scultura o una ceramica d’arte, è pur sempre e comunque il prodotto diretto di una macchina che ha, come referente, l’uomo e le sue capacità di cogliere il momento giusto in cui compiere lo scatto da bloccare nel tempo infinito. Un attimo che è già passato nel momento in cui viene fermato ed è mutato nella sua corsa verso un futuro che giunge e scompare. Lavoro difficile da portare avanti, soprattutto quando questo è rivolto all’uomo, alla sua molteplice diversità di essere nella quotidianità. Lavoro difficile ancor più quando si prende in esame il corpo umano, primo ambiente che abitiamo, e vogliano coglierne le movenze nell’atto dello sforzo sportivo come ci mostrano gli scatti che Edoardo Colace ha organizzato in mostra negli spazi della Galleria di Armando Cerzosimo nel cuore del centro storico di Salerno. Si incontrano, così, delle storie vere da scrivere con l’immagine che, dice Colace, «siano delle finestre aperte sulle emotività e sulle essenzialità». Ed è “Corpi liberi”, una esposizione che cerca di offrire uno sguardo efficace “sulle sfide quotidiane dei bambini e dei ragazzi, dove spazi insufficienti coesistono con una vitalità che quasi mai si concilia con il possibile e la dignità, senza la monetizzazione dell’impegno e del tempo”. Ricorda l’autore: «Sono immagini di uomini, donne, ragazzi che non vivono di sport ma che vivono per lo sport e di bambini che giocano con lo sport». Si sa che nello sport protagonista è il corpo con le sue infinite movenze con cui l’atleta ha formato la sua preparazione e per questo diventa compito difficile fotografarlo nell’esercizio delle sue capacità. Ecco allora che sta esclusivamente all’occhio del fotografo, alla sua percezione del tempo che inesorabile scorre, alla sua sensibilità, alla sua prontezza fermare l’attimo in cui l’atleta è al culmine del suo pathos maggiore, dello sforzo vincente. Venti scatti nella suggestione della stampa in bianco e nero per raccontare emozioni imprigionate nella fotocamera e fatica atta ad esaltare movimenti di imprese individuali e di squadra. E’, questa mostra, la celebrazione della fotografia «nella narrazione sportiva in quanto strumento privilegiato di essere spettatore e narratore allo stesso tempo». Si allineano i venti, esaltanti istanti sportivi fermati da Colace negli spazi della Galleria del Centro Storico, si offrono al visitatore venti immagini per quei “Dialoghi sulla fotografia” cui diede vita Armando Cerzosimo anni fa, insieme ai due figli Pietro e Nicola. Dice Cerzosimo: «l’intento era quello di creare dei presupposti di incontro e di scambi di idee intorno ad un tavolo o negli spazi della galleria dove la fotografia è motore di approfondimenti e di dialogo». Obiettivo raggiunto visto i personaggi che vi sono transitati, e visto i successi di questi periodici appuntamenti che ravvivano un centro storico sempre più avviato ad una dimenticanza di esistenza. Un dimensione in cui vengono relegati anche alcuni sport considerati, chissà perché?, minori; forse per la minore partecipazione di spettatori, o il minore incasso di biglietti alle manifestazioni! Di sicuro quegli sport in questa mostra di Edoardo Colace ne escono protagonisti, se non altro per il momento di esaltazione che viene offerto dagli atleti. Ed è la danza artistica di giovani atlete o la presa della lotta libera nell’attimo del capovolgimento. E ancora la gioia di un bambino in corsa con pallone da rugby o la sospensione sull’acqua nell’attimo del tuffo, l’eleganza della ginnastica nel volteggio o in quella aerea a sospensione di nastro. E la “schiacciata” della pallavolo o lo sciamare gioioso di bambini verso il cheto specchio di mare. Emozioni pure sulle quali meditare, frutto di gioiosità infantile, di resistenza fisica, di sviluppo armonico dei muscoli di tutto il corpo. Singolarità, attenzioni con le quali Colace non ci sorprende, lui che ama i vecchi treni “accelerati” e le vecchie “littorine”, lui che “ama la fotografia della quotidianità, dello scenario della natura e dell’aspetto territoriale”. A guardarli uno per uno, in riflessione di pensiero, questi scatti sono istantanee vive, fermate da un fotografo che è riuscito a rubare emozioni e fatica nei momenti di imprese sportive, individuali e di squadra. “Corpi liberi” è da archiviare nella memoria di ogni singolo e in quella collettiva «per creare – dice Edoardo Colace – legami sociali e di pace, di solidarietà e di rispetto, per creare obiettivi di salute e istruzione, specie nella crescita di bambini e ragazzi, per costruire relazioni con i coetanei e gli adulti, per promuovere inserimento sociale, per essere mezzo di diffusione di rispetto delle regole e degli avversari e della lealtà verso i compagni, per accrescere la consapevolezza del proprio corpo. Opportunità di educazione e crescita armonica del corpo, ma anche di divertimento e sfide alla pari». Una esperienza da vivere in questa città sempre più povera di cultura, visitando la mostra e meditando su queste immagini negli spazi della Galleria Cerzosimo in Via Giovanni da Procida, 9 a Salerno, a partire da venerdì 24 maggio (vernissage ore 19,00). Sarà, poi, la volta dei “Dialoghi sulla fotografia” di martedì 28 maggio e, il 31 maggio, della serata di chiusura mostra. Per molti sarà un rientro in quegli spazi dell’anima dove la quiete ha messo al bando il clamore, dove non esiste il chiasso delle folle, ma vive e si alimenta il pensiero delle attese e delle emozioni.