di Carmine LANDI
BATTIPAGLIA. Battipaglia resta terra di camorra.
Lo ha praticamente stabilito, una settimana fa, il collegio del Tar del Lazio, respingendo i tre ricorsi contro il decreto di scioglimento del consiglio comunale. In opponendum a quanto decretato nell’aprile del 2014 dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, c’erano l’ex sindaco, Giovanni Santomauro, rappresentato dall’avvocato Andrea Di Lieto, il già dirigente dell’Ufficio tecnico comunale, Pasquale Angione, e l’ex consigliere, Pasquale Tramontano, tutelati dai legali Demetrio Fenucciu e Azzurra Immediata, e i soci di “Etica per il Buon Governo”, timonati da Cecilia Francese, e di “Battipaglia Nostra”, guidati da Carlo Zara, che si sono legalmente affidati a Sara Di Cunzolo.
“Aspettiamo le motivazioni”, avevano dichiarato in molti dieci giorni fa.
Il momento è arrivato, poiché, in anteprima, il quotidiano “Le Cronache” è entrato in possesso della sentenza emanata dal presidente del tribunale amministrativo capitolino, Luigi Tosti, e dall’intero collegio giudicante, composto da Anna Bottiglieri, Ivo Correale e dal relatore Raffaello Sestini.
Pur riconoscendo alla quaestio «una notevolissima complessità ed ampi margini di incertezza», Tosti e i suoi hanno optato per il respingimento dei tre ricorsi.
In barba al presunto difetto dei presupposti necessari a decretare lo scioglimento del Comune di Battipaglia, denunciato dai ricorrenti, i magistrati hanno infatti riconosciuto la sussistenza di tutti e tre i requisiti essenziali per mettere in atto quella che è «una misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria». A supportare il decreto di Napolitano, dunque, ci sono «un idoneo e sufficiente supporto istruttorio», «veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione» e «una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole». «Dà adeguatamente conto di fatti storicamente verificatisi e accertati e quindi concreti» la proposta di scioglimento arrivata al Quirinale dal Viminale, basata sulla relazione firmata dall’allora prefetto di Salerno, Gerarda Maria Pantalone, fondata a sua volta sul documento redatto da Rosanna Bonadies, Pasquale Gallo e Marcella Romano, membri della commissione d’accesso che s’insediò a Palazzo di Città nel 2013, all’indomani dell’arresto di Santomauro.
Il Tar ha evidenziato una «gestione amministrativa poco lineare, talvolta deviata dal perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente» e quindi plausibilmente «non impermeabile a possibili ingerenze da parte della criminalità organizzata».
I giudici amministrativi confermano così «plurime irregolarità di pregiudizievoli cointeressenze degli organi elettivi e dell’apparato burocratico con particolare riguardo ai rapporti di parentela tra alcuni amministratori ed esponenti di ambienti controindicati; ripetute illegittimità nelle procedure poste in essere dall’ente e diffusa illegalità nei vari settori dell’amministrazione comunale, che hanno favorito imprese o soggetti collegati direttamente o indirettamente ad associazioni malavitose; vicende giudiziarie riguardanti alcuni amministratori e dipendenti comunali; sostegno elettorale di esponenti delle locali organizzazioni criminali».
LEGITTIMO SCIOGLIERE DURANTE L’ERA RUFFO. Lo Stato non ha commissariato lo Stato.
Uno dei cardini attorno ai quali ruotavano i tre ricorsi era la «singolare» applicazione dell’articolo 143 del Tuel (Testo Unico degli Enti Locali), che è quello relativo allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiose, nel caso Battipaglia. All’ombra del Castelluccio, infatti, il consiglio comunale, già venuto meno nel 2013 sulla base dell’articolo 141, che prevede lo scioglimento pure nei casi in cui la maggioranza dell’assise consiliare rassegni le proprie dimissioni, è stato sciolto nuovamente, in quel caso sulla scorta del 143, nel 2014 quando lo scranno di primo cittadino era già occupato da un commissario prefettizio, che era Mario Rosario Ruffo.
«Doglianze non fondate», sentenzia il Tar, giacché il 143, al comma 13, spiega che «si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi, ancorché ricorrano le situazioni previste dal 141».
«Le due misure – proseguono, poi, Tosti e i suoi – rispondono a fattispecie ed a finalità diverse, e solo il con il decreto del Presidente della Repubblica del 19 giugno 2013 è stato decretato lo scioglimento del consiglio comunale, con conseguente nomina di un commissario straordinario, mentre con il secondo decreto, oggi impugnato, l’amministrazione si è limitata ad affidare la gestione del Comune di Battipaglia, per 18 mesi, ad una commissione straordinaria». La relazione ministeriale, d’altronde, afferma che « sebbene il processo di ripristino della legalità nell’attività del comune sia già iniziato da alcuni mesi attraverso la gestione provvisoria dell’ente affidata al commissario straordinario, si ritiene, comunque, necessaria la nomina della commissione straordinaria per scongiurare il pericolo che la capacità pervasiva delle organizzazioni criminali possa di nuovo esprimersi in occasione delle prossime consultazioni amministrative».
Dunque, non sarebbe stato leso alcun diritto democratico, giacché l’annullamento delle elezioni 2014 sarebbe servito solo a salvaguardare Battipaglia da ulteriori rischi di infiltrazioni. In altre parole, il Tar fa capire che, sì, Battipaglia è terra di camorra.