Questa mattina, alle ore 11, ritorna nella chiesa storica del grande Santo la benedizione nella chiesetta di Santa Rita dopo il Solenne panegirico tenuto da Don Michele Pecoraro. Nel pomeriggio animali festeggiati sul sagrato di San Domenico alle ore 16,30 e in diverse chiese per chiudersi a Giovi, nella chiesetta di campagna di S.Bartolomeo, alle ore 18,30, accorsata da ogni razza di animali, dai cani, agli asini, ai cavalli, alle oche, in una magica festa.
Di Olga Chieffi
Oggi si festeggia Sant’ Antonio Abate. L’anno di riti, dopo il Natale, nella chiesetta di Santa Rita e Sant’ Antuono, inizia qui, alle ore 11, quando nel larghetto del vecchio municipio, chiamato appunto Palazzo Sant’Antuono, si procederà, come secoli fa, alla benedizione degli animali, con ogni proprietario che porta via l’immaginetta del Santo da affiggere davanti alla porta e un po’ di acqua santa, dopo aver ascoltato il panegirico del Santo e la Messa solenne. Si ritorna qui, nella chiesa storica dei salernitani, (ma si continuerà nel pomeriggio sul sagrato di San Domenico alle 16,30 e nella chiesetta di campagna di San Bartolomeo, intorno alle 18,30, accorsata da ogni razza di animali, dai cani, agli asini, ai cavalli, alle oche, in una allegra e caratteristica festa) dopo un anno di chiusura, per stupide e inutili decisioni burocratiche, quasi un sotteso accordo per cancellare le tradizioni attraverso “ pòse intimidatorie o supponenti, da funzionari del sacro che si avvertono in certi preti o in certi “cattolici impegnati” – secondo Bergoglio – che finiscono per far velo al lavoro della grazia e manifestano una concezione proprietaria della Chiesa, tradendone la natura e la missione e favorendo i processi di decristianizzazione”. Si ritorna oggi nel larghetto per omaggiare il Santo del Fuoco, degli animali, il grande guaritore e guida spirituale che sapeva ascoltare tutti, in cambio di un po’ di cibo per il maialetto che lo accompagnava. Oggi è necessario riattivare il racconto, il mito: tutti noi abbiamo bisogno dei cani, di tutti gli animali, della loro presenza magica e affettuosa, del senso di vitale libertà che sanno regalare, della loro misteriosa capacità di rivelare il volto segreto e il vero valore delle persone che li hanno allevati, amati o maltrattati, attenti indagatori dei moti del nostro cuore, sostenitori delle sfide che talvolta la vita ci impone, riescono ad umanizzare le occasionali emozioni, allontanandoci, anche solo per un istante da “quell’aiuola che ci fa tanto feroci”, incoraggiando il nostro umano slancio verso l’infinito, e in questa giornata saranno accolti nelle chiese, per essere benedetti e parlarci in questa Notte incantata, del loro mondo fatto di nobiltà senza arroganza, amicizia che non sia gelosa, bellezza senza vanità. Sant’ Antonio Abate è ritratto circondato da animali domestici e non: maiali, cinghiali, serpenti ed aquile. Le raffigurazioni più comuni lo rappresentano insieme ad un maiale, anticamente simbolo del demonio, con al collo una campanella, simbolo della vita domestica degli animali ma anche della purificazione della carne. Si ritenevano gli animali così legati alla protezione di Sant’Antonio, che quando qualcuno di essi si ammalava era denominato “un santantonio”. Il nome del Santo è legato anche al cosiddetto “fuoco di S. Antonio“. La dolorosissima e pericolosa infiammazione virale era ed è comunemente così chiamata perché per la guarigione si invocava Sant’Antonio Abate, che aveva sopportato nel suo corpo le urenti piaghe da Satana, un fuoco infernale, proprio come l’herpes zoster. Numerosi ospedali (Ospedali del Tau) sorsero in tutta la cristianità per curare questa terribile malattia. I corpi piagati venivano unti proprio con il grasso di maiale, e per questo motivo venne dato il permesso all’ordine degli Antoniani di allevare maiali anche all’interno dei centri abitati e gli stessi animali venivano nutriti a spese della comunità e circolavano liberamente nel paese con al collo una campanella. C’è un adagio che recita: “L’Epifania, tutte le feste le porta via, ma Sant’Antonino le riavvia”. S. Antuono, infatti, segna nel calendario popolare il principio del Carnevale, ovvero di quel periodo rituale, circoscritto nel tempo, durante il quale si forma una comunità metastorica a carattere provvisorio, che vive un aspetto di ribellione alla propria condizione sociale, riflettendo aspetti rituali arcaici, legati nel passato a rituali agricoli di propiziazione del raccolto e di eliminazione del male. S.Antuono è ritenuto, infatti, anche il patrono del fuoco. Pare che egli sia disceso all’Inferno, dal quale ha tratto un po’ di fuoco di nascosto del diavolo, novello Prometeo, per cui, la notte del 17, in sua venerazione si accendono grossi falò. Il materiale si va raccogliendo un po’ dappertutto, e questa notte l’appuntamento a Salerno è al Porticciolo di Pastena attorno ai quali si danzerà intrecciando tarantelle e per essere fedeli all’antica tradizione campana. Una festa, che significa ogni anno, scatenare le forze positive e, grazie all’elemento apotropaico del fuoco, sconfiggere il male e le malattie sempre in agguato.