di Luca Capacchione
Il momento più atteso della settantaduesima edizione del Festival della Canzone Italiana è arrivato: le cover tengono incollato il pubblico di Sanremo quasi quanto l’attimo di proclamazione del finalista. Per quest’edizione Amadeus ha deciso di proseguire con il lavoro cominciato qualche mese fa all’Arena di Verona, quando – scommettendo al massimo sul format – ha portato uno speciale in due serate su Rai 1 sulla musica ‘60-‘70-‘80-‘90, aprendo di fatto un’operazione nostalgia che ora trova il suo culmine sul palco dell’Ariston. Con le cover dedicate al quarantennio più prolifico e variegato della storia della musica contemporanea la scelta di voler strizzare l’occhio alle generazioni più grandi può essere sicuramente apprezzata sotto molteplici punti di vista, con però alcune necessarie accortezze. Se da un lato la possibilità di poter cantare i più grandi successi della musica è estremamente allettante, dall’altro bisogna far sì che le nuove leve siano all’altezza di interpretare brani complessi sia nel testo che nella composizione musicale, senza fuorviare le attuali generazioni. L’orchestra e i direttori sono stati i veri protagonisti della complessa operazione grazie alle più disparate necessità di riarrangiamento dei pezzi, con necessità di adattamento alle tonalità vocali più disparate che, come dimostrato da Ranieri la prima sera, hanno messo in difficoltà i tecnici dell’Ammiraglia di Stato. Da Yuman con “My way” di Frank Sinatra al lanciatissimo duo Mahmood e Blanco con “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, passando per Noemi con “(You must feel me like) A natural woman” di Aretha Franklin la scelta musicale non ha deluso. Lo stesso non si può dire delle esibizioni non sempre impeccabili, come largamente preventivato. “I pezzi una volta venivano cuciti addosso all’artista alla pari del miglior abito da sera – ha dichiarato Gianni Belfiore, autore di numerosi successi, a Radio Musica Television durante il programma Speciale Festival – Quando, ad esempio, scrissi Se mi lasci non vale per Julio Iglesias, ogni verso e ogni nota erano pensati. Oggi la musica è scritta, ma non pensata. Lo stesso per quanto riguarda le cover del Festival da almeno tre anni a questa parte. Non ci sono più gli autori di una volta, tantomeno i musicisti. La musica cambia e io in primis mi sono sempre adattato, ma come il tutto viene fatto è piuttosto superficiale”. Abbiamo ballato, abbiamo cantato e in attesa della finale – con tutte le polemiche del caso – ci godiamo il Festival. Perché, dopo tutto, Sanremo è Sanremo!