Di OLGA CHIEFFI
“Com’è lunga l’attesa…” pronuncia tra sé Tosca, attendendo la “falsa” fucilazione del suo Mario, un ultimo coup de théatre della primadonna che si fa maestra di recitazione, anche tra i merli di Castel Sant’Angelo, un “lasciapassare”, quell’ attesa, verso la vita, che si trasforma in una sfida ad una Roma papalinadivisa trafede e potere, il tutto elevantesi a monumento sepolcrale, tra pile, fiori, incensi, paramenti sacri, afrori, vin di Spagna, sangue e Te Deum. Abbiamo scelto quale tema dello speciale dedicato alla festa di San Matteo, l’attesa, un termine declinabile in innumerevoli modi, affidato a rappresentanti delle arti, dello sport, della musica, del cinema, della letteratura, della fotografia, i quali ci consegneranno le proprie originali e personali chiavi, per immergerci in quel tempo fermo, carico di tensione, di nascite, di pensieri, parole, sguardi, profumi condivisi, che schizza una Salerno avvolta in un irreale silenzio, prima dello scioglimento del campanone del Duomo, che segna l’inizio della solenne processione. Ecco Salerno calata in un’eterna attesa, come la fortezza Bastiani, con tutti noi novelli Giovanni Drogo, in perenne aspettativa di un cambiamento. In questa snervante condizione, il tempo si consuma, tra baluginii di riflessi politici e sociali, volti a misurare giorni di crisi, ricercando quel silenzio interiore contro il gran frastuono che ci assedia, in un continuo decifrare i confini di un deserto in cui ci muoviamo, tenendoci, purtroppo, ben lontani da un pragmatismo risolvente. Non siamo lontani, nel nostro raccontare di anno in anno, questo giorno, da quella fenomenologia kafkiana, che s’appella ad una sorta di mystère de l’éternel rétour; dalle forme più primitive alle più raffinate. L’uomo kafkiano non fa altra esperienza che di circoli chiusi; prima che egli acquisti qualche barlume di coscienza storica del tempo, si trova imprigionato, costretto a muoversi dentro l’anello obbligato della ripetizione rituale. I salernitani amano o odiano questo evento, abbiamo letto sui vari social, post e discussioni accese, su questa giornata, segno di un’attenzione partecipata e vissuta, dalla quale nel bene o nel male, non riusciamo ad esimerci: l’importante è vedere come, proprio da certe reticenze, scambi e pérmute tra i suoi diversi e anche opposti elementi, possano nascere quelle particolari suggestioni che pervadono questo giorno. Nel volume di aforismi “L’attesa, l’oblio”, Maurice Blanchot parla dell’ “attesa riempita dall’attesa, riempita-delusa dall’attesa”. Il che forse vuol dire che l’attesa impartisce lezioni tanto alla nostra disperazione quanto alla nostra speranza. In queste otto pagine, vi faremo vivere quell’istante vivo, elemento simbolico di uno stato di grazia, che penetrato, ci donerà quella condizione preferenziale di innocenza primigenia, che ci permetterà di mettere in sinergia la mente e il cuore, la ragione e le emozioni, il passato e il presente, le nuove generazioni con quelle passate, quello che si può raccontare con quello che resta misterioso, quello che gli occhi riescono a vedere con quello che solo il cuore può sentire.