San Filippo Neri: la lenta agonia di un gioiello rinascimentale - Le Cronache
Salerno Ultimora

San Filippo Neri: la lenta agonia di un gioiello rinascimentale

San Filippo Neri: la lenta agonia di un gioiello rinascimentale

di Clemente Ultimo

Un tesoro esposto alla luce del sole, eppure precluso a quanti vorrebbero ammirarlo nella sua interezza. Anzi, al visitatore curioso si presenta solo l’immagine di una sempre più incombente rovina, figlia dell’inesorabile trascorrere del tempo e, più ancora, del generale disinteresse. È questo il paradosso della chiesa di San Filippo Neri, una delle quattro costruzioni religiose salernitane a pianta centrale, testimonianza – insieme a San Salvatore de Fondaco, Sant’Anna al porto ed il Monte dei Morti (comunemente detta dei “morticelli”) – dei fasti dell’architettura rinascimentale cittadina. Fasti di cui, ad oggi, resta in realtà ben poco nel complesso di San Filippo Neri. Posta in uno dei punti più suggestivi della città – tanto che una xilografia raffigurante la chiesa venne pubblicata nel 1858 su The Illustrated London, sulla base di un disegno realizzato da un viaggiatore inglese affascinato da questo scorcio del golfo di Salerno – San Filippo Neri è oggi solo la pallida ombra dell’edificio nato sul finire del XVI secolo dedicato alla Santa Croce.

Originariamente parte dell’attiguo convento dei Cappuccini che sorge in via Santa Maria della Consolazione, a monte di via De Renzi, la chiesa venne acquisita nel 1761 dalla Congregazione dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima e di San Filippo Neri, con la finalità di realizzare in loco uno spazio destinato alla sepoltura dei confratelli. Traccia di questa destinazione si ritrova in un documento del 1763 in cui viene concesso ai confratelli di costruire una sagrestia da cui sarà possibile “fare altra apertura nel suolo della Sacristia (…) tanto larga quanto basta a farvi una grada per la quale possono commodamente calarsi in detta Sepoltura li cadaveri”. Alla metà del XVIII secolo, invece, la chiesa di San Filippo Neri doveva presentarsi ben diversamente, interessata com’era da ampi lavori di ampliamento ed ammodernamento.

Sempre nel 1763, infatti, prendono avvio i lavori destinati al rifacimento dell’altare, alla costruzione della sacrestia ad oriente dell’aula di culto, alla realizzazione di due nicchie al cui interno collocare le statue della Vergine e di San Filippo Neri, quest’ultima realizzata nel 1778 da Giuseppe Manzo. Entro i primi anni dell’800 la chiesa assume il suo aspetto definitivo: in quel periodo, infatti, vengono presumibilmente completate le decorazioni interne a stucco, il ciclo di affreschi dedicato alle storie del santo titolare dell’edificio di culto.

A completare l’impianto decorativo il dipinto alle spalle dell’altare maggiore raffigurante gli angeli in adorazione della Croce, affresco a cui andava a sovrapporsi un’antica Croce lignea. Anche la facciata della chiesa assume l’aspetto che si è conservato – assai male, in verità – fino ad oggi, caratterizzato dalla presenza di due lesene con capitelli a voluta. Questi ultimi, in particolare, gravemente danneggiati dall’azione distruttiva di piante e piccoli arbusti cresciuti sulla parte superiore dell’edificio, elementi che hanno contribuito in maniera determinante al grave danneggiamento degli stucchi di origine settecentesca che ornavano la facciata.

Ma non è solo la parte esterna dell’edificio a cedere sotto i colpi del tempo, piuttosto l’intera struttura. Del resto l’ultimo intervento di cui si ha memoria risale al 2010, quando furono effettuati alcuni lavori di consolidamento statico. Il trascorrere di un altro decennio ha inevitabilmente aggravato le già precarie condizioni dell’edificio, compresi gli interni, come testimoniano le fotografie a corredo di questo articolo. Fotografie scattate circa un anno fa, quando è stato possibile accedere all’interno di San Filippo Neri e delle costruzioni annesse attraverso la porta d’ingresso della chiesa, forzata da qualcuno che per diverso tempo ha utilizzato la sacrestia come ricovero. A rendere evidente questa “riconversione d’uso” le coperte e gli abiti disseminati all’interno del vano. In condizioni non migliori sono il vestibolo e l’aula, il cui pavimento è disseminato di detriti: in parte stucchi delle decorazioni distaccatisi dalle pareti e dal soffitto, in parte travetti di legno del tetto, in parte pezzi di marmo degli altari ormai in frantumi. Quasi completamente scomparso il ricco corredo di affreschi, con la parziale eccezione di quello alle spalle dell’altare maggiore e di un episodio della vita di San Francesco Neri rappresentato nel vestibolo, conservatosi in condizioni eccellenti.

Quasi un miracolo, verrebbe da pensare guardando al generale sfacelo della chiesa. Delle due statue presenti all’interno dell’aula non v’è più nessuna traccia e se ne ignora la sorte. In rovina ed invasi da piante ed arbusti anche gli ambienti annessi all’edificio religioso. Insomma, dell’edificio che incantò l’ignoto viaggiatore inglese a metà del XIX secolo resta ben poco. E anche questo poco andrà definitivamente perduto in assenza di un intervento di recupero incisivo e tempestivo. Un piccolo pezzo di memoria collettiva destinato a perdersi nel tempo.