Giovanni Falci
La scomparsa di Lelio Schiavone, protagonista della vita culturale e artistica di Salerno con il suo “Catalogo” punto di incontro e di riferimento degli intellettuali della città e anche nazionali, ha fatto riemergere un dibattito in corso da tempo: l’utilizzo dell’edificio dell’ex Tribunale di Salerno. Prima di dire la mia in controtendenza con i sostenitori di un museo da allocare in quella sede, mi va di ricordare con affetto e stima Lelio Schiavone che elogiò un mio lavoro pittorico che gli sottoposi per un suo autorevole giudizio critico. Mi disse che aveva apprezzato le tre tele che feci nel 2005 dal titolo “arcipelago di munnezza” e mi invogliò a proseguire nella mia produzione che ritenne “geniale”. Conservo il ricordo di quel suo giudizio con particolare affetto e orgoglio. Devo fare anche ammenda di avere “abbandonato” Lelio Schiavone negli ultimi anni e non avere avuto la capacità di “cercarlo” fuori dal suo “Catalogo”. Tornando alla questione museo di arte contemporanea nell’edificio ex Tribunale essa è frutto di uno slancio sentimentale verso il gallerista e verso Alfonso Gatto cui si vorrebbe intitolare il museo; ipotesi apprezzabile per purezza di sentimento, ma priva di supporto di uno studio serio dal punto di vista urbanistico. Perché per operazioni del genere, proprio di questo si tratta: vi è un problema di peso urbanistico di quella struttura che va affrontato per non creare squilibri. L’altro giorno ho letto e mi sono occupato di un sequestro operato a Nocera Inferiore, di una parte di un capannone adibito a deposito, perché il conduttore della struttura, avrebbe commesso un abuso edilizio “per cambio di destinazione d’uso”. Questo signore avrebbe messo nel deposito, una brandina e un fornello a gas di quelli da campeggio e, con tale manovra, avrebbe violato la normativa urbanistica di riferimento che prevede per quella zona un “carico urbanistico” diverso da quello residenziale. Per questo fatto quel signore rischia una condanna penale, per una brandina dove forse si riposa durante la giornata lavorativa. In parole semplici, comprensibili da tutti e non solo dagli addetti ai lavori (gli architetti che parlano l’urbanitichese), il peso urbanistico è il rapporto tra un insediamento e il territorio che deve tenere conto di diverse componenti. Chi progetta un piano regolatore di una città deve cercare di coordinare le varie zone a cui collega una tipologia con le infrastrutture esistenti e con la popolazione. E allora, partiamo dalla storia del sito che è stato per circa un secolo un polo giudiziario, sede di Pretura, Procura, Tribunale e dal 1985 della Corte di Appello. Questa destinazione non va, a mio avviso cambiata, perché la città ha sedimentato le proprie abitudini e si è adeguata alla vocazione che ha avuto il corso V. Emanuele e il corso Garibaldi. In quei volumi, oltre al Giudice di Pace già insediato, il Tribunale per i minorenni e Tar, oggi a Largo Tommaso d’Aquino, troverebbero una loro naturale e logica collocazione, così come tutte le Commissioni Tributarie oggi a Rione Petrosino, gli uffici dell’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) oggi allocato in un appartamento per civile abitazione a via Irno 11 e gli Uffici per la Mediazione Penale introdotti dalla Riforma Cartabia ancora in cerca di sistemazione e coinquilini dell’UEPE. Per non parlare degli organismi di mediazione disseminati un po’ dovunque in tutta la città. Ecco perché l’idea del museo è sbagliata. La dimensione dell’edificio sarebbe eccessiva rispetto alla funzione. Non ho le misure precise, ma penso che l’ex Tribunale sia più grande del MOMA di New York che ho avuto il piacere di visitare e percorrere in lungo e in largo così come ho fatto per decenni con il palazzo di giustizia. Pensare di ospitare nei 4 piani di quel mastodontico edificio un museo, per di più di arte contemporanea, è sicuramente un’idea improponibile. Si dirà: potrebbe essere utilizzato solo in parte come museo; ma anche questa mi sembra un’idea sbagliata. Che io sappia non esistono musei part time in edifici che svolgono anche altre funzioni. Sarebbe la solita cosa “arrangiata” giusto per poter dire Salerno ha il suo museo d’arte contemporanea. L’occasione di un museo del genere Salerno l’ha avuta con la realizzazione del Parco Pinocchio; la sede dismessa della ex fabbrica SALID (demolita quasi del tutto) era pronta, con una intelligente operazione di restauro di archeologia industriale, a diventare una importante sede museale. Aveva tutto dalla sua: ubicazione vicino svincolo autostradale e quindi comodità di raggiungerla da tutta la provincia; inserimento in zona di riqualificazione urbana che avrebbe completato l’intervento del Parco; dimensioni proporzionate all’utilizzo. Con questo non penso di aver fatto un torto a Lelio Schiavone e Alfonso Gatto che forse, riflettendoci sopra, avrebbero anche potuto sposare questo mio progetto. Del resto sto parlando di due veri uomini di cultura non perché sapevano tanto, ma perché pensavano molto e sentivano troppo.





