Salerno. Ex Italcementi, sottrazione di bene pubblico - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

Salerno. Ex Italcementi, sottrazione di bene pubblico

Salerno. Ex Italcementi, sottrazione di bene pubblico

di Alfonso Malangone*

Le alienazioni delle aree ex Italcementi, comprese nei programmi di riqualificazione Prog 1/b, lotti 1 e 2, via Torrione, e Prog 3, via Vinciprova, hanno alimentato numerose riflessioni pubbliche sulla legittimità delle operazioni in presenza del preciso vincolo di destinazione disposto sui suoli. Di quest’ultimo, in particolare, si è discusso circa la sua natura reale o contrattuale. Detto semplicisticamente, nel primo caso, esso seguirebbe i suoli, impedendone un utilizzo diverso da quello statuito, mentre, nel secondo caso, sarebbe valido solo tra i contraenti. In entrambe le visioni, però, non sono mancate ipotesi di responsabilità a carico della parte inadempiente, cioè dell’Amministrazione Comunale, per la sottrazione di un bene pubblico all’utilità di tutti. Comunque sia, a pensar bene, per formulare un giudizio sulla legittimità delle operazioni, l’accertamento della natura del vincolo può essere adempimento non prioritario rispetto al necessario approfondimento della sua forza in funzione della normativa che l’ha imposto. Con questa finalità, sono proposti alcuni spunti per tentare di fare ‘chiarezza’, non mancando di precisare che essi sono formulati in modo assolutamente libero e senza l’affidabilità di un parere tecnico. In altre parole: si fa salvo ogni errore. Primo punto: l‘art. 21 della Legge 219/81, quella della ricostruzione post-terremoto ’80, dispose la concessione alle imprese produttive di un contributo pari al 75% delle spese per la riparazione e la ricostruzione degli stabilimenti, anche previa delocalizzazione. Gli artt. 2 e 3 dell’Ordinanza n. 19/Pres del 15/03/89 stabilirono che il valore degli immobili relitti, quantificato da una commissione ministeriale sulla base di una perizia giurata redatta con riferimento alle loro nuove destinazione d’uso, doveva essere decurtato dal contributo totale e che, nel caso in cui gli immobili fossero stati ceduti prima della definizione della procedura, l’importo da detrarre doveva essere sempre e soltanto quello risultante dall’atto di trasferimento. Infine, l’art. 8 c. 1 della L. 730/86, stabilì che la destinazione delle aree di sedime degli stabilimenti delocalizzati doveva essere regolata con convenzione da stipularsi con i Comuni e vincolata a soddisfare esigenze produttive, sociali e pubbliche. CONSEGUENZE: l’Italcementi, per spostarsi a Fuorni, ricevette all’incirca 28miliardi di lire, salvo errore, e offrì il terreno in centro al Comune. Quest’ultimo, in vista dell’acquisto, diede inizio alla procedura di modifica del Piano Regolatore individuando una “Zona A”, per la parte edificata, e una “Zona a recupero Standard, verde e parcheggi”, per quella residua, anche con l’obiettivo di adeguarne la dotazione ai parametri di Legge. A questa finalità pubblica dichiarò di vincolare l’area riconoscendo, insieme alla controparte, che tale destinazione costituiva “elemento essenziale” delle reciproche volontà negoziali (fonte: contratto). Secondo punto: l’art. 6 c. 3 della Legge 730/86 dispose la concessione al Comune di Salerno di un contributo di 10miliardi per le attività post-terremoto. CONSEGUENZE: il Comune utilizzò di sicuro i fondi anche per la transazione con Italcementi definendo, di comune accordo, il prezzo di 577,5milioni, così come quantificato dall’Ufficio Tecnico in funzione delle nuove destinazioni. L’Italcementi, però, per tutelarsi da eventuali rettifiche al rialzo da parte del Ministero e dal conseguente rischio di un minore incasso complessivo, essendo non modificabile, come detto sopra, il valore in atto ai fini del contributo totale, chiese ed ottenne dal Comune il rilascio di una fidejussione bancaria dell’importo di 3,8miliardi che, di fatto, avrebbe dovuto essere il costo effettivo dei suoli (fonte: contratto). E’ importante precisare che, sulla base di quelle destinazioni e di quel prezzo, ci furono reciproci vantaggi finanziari, fiscali e tributari. Terzo punto: l’art. 84ter della L. 219/81 e l’art. 6 c. 6 della L. 730/86, disposero che le aree relitte fossero assegnate in diritto di superficie se attrezzate con urbanizzazione primaria. CONSEGUENZE: per la realizzazione del Grande Albergo sulle aree in “Zona A”, il Comune attribuì il diritto di superficie in concessione per la durata di 60 anni. Cioè, non le vendette, rispettando la previsione di Legge contro utilizzi speculativi e tutelando l’interesse pubblico in quanto, al termine della concessione, l’immobile dovrà essere restituito alla Comunità. Peraltro, pur prevedendo l’utilizzo alberghiero, salvaguardò la finalità produttiva prevista dalla L. 730. In quella circostanza, non fu variata la destinazione della residua consistenza “a verde e parcheggi” che, se disposta, sarebbe stata davvero ingiustificata e, quindi, illegittima, soprattutto senza l’individuazione di altra area limitrofa per assicurare il rispetto degli Standard. Qui, si chiude il primo atto della storia con la trasmissione, al secondo, dei seguenti punti sostanziali: – il vincolo di destinazione dell’area fu imposto dalla Legge; – i fondi utilizzati dal Comune furono di provenienza statale e, quindi, assimilabili ai contributi riconosciuti a Italcementi, dai quali furono pure decurtati; – la destinazione pubblica fu decisa per spuntare un prezzo ‘stracciato’, a favore di entrambe le parti: – la destinazione a Standard era volta anche a colmarne la deficienza; – la possibile offerta a terzi della “Zona A” avvenne mediante concessione del diritto di superficie nel rispetto del vincolo imposto. Così, sorgono almeno tre domande: 1) “i suoli Prog 1/b e Prog 3, possono essere venduti”? 2) “la destinazione può essere variata”? 3) “in caso affermativo, da chi”? Per rispondere, può essere utile leggere la Sentenza della Corte dei Conti n. 3813 del 16/02/2011 nella quale si precisa che gli immobili sottoposti a vincolo di destinazione rientrano nella categoria dei beni del patrimonio indisponibile e, quindi, “non possono essere sottratti se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828 c. 2 C.C.)”. Tutto questo, per evitare “aggressioni da parte di privati o atti di mala gestio”. A questo punto, pur prendendo atto che anche i beni indisponibili possono essere venduti all’esito di una complessa procedura, appare giusto avere doverose informazioni sugli adempimenti posti in essere per trasferire i suoli dal patrimonio indisponibile a quello disponibile e, soprattutto, di sapere se con un semplice atto amministrativo sia possibile variarne la destinazione consacrata in un atto rogato con riferimento ad una fonte avente forza di Legge. La 730 del 1986. In verità, salvo non siano stati emanati provvedimenti sfuggiti alla ricerca, sembra di non poter condividere che un’area acquistata con fondi pubblici, sottoposta a vincoli specifici, da concedere solo con diritto di superficie, non utilizzabile diversamente dalla destinazione “a verde e parcheggi”, mancando peraltro aree alternative, possa essere ceduta in assenza di autorizzazioni certe e inequivocabili rilasciate dalle Istituzioni che quei fondi, quelle leggi e quei vincoli imposero per evitare le “aggressioni da parte dei privati (fonte: CorteConti)”. Dopo di questo, si potrà anche parlare della natura del vincolo. Ma, in altra occasione. Adesso, si può solo sottolineare il diritto dei cittadini al rispetto del loro diritto alla qualità della vita, pur se il ricavato delle vendite sia destinato a risanare il Bilancio. Del resto, non sono certo loro i responsabili, e non spetterebbe a loro risarcire i danni.

*Ali per la Città