di Pina Ferro
Ieri mattina era in programma un’udienza a suo carico, ma quando gli agenti della polizia penitenziaria sono entrati nella sua cella per prelevarlo e trasferirlo in tribunale M.C. 45 anni salernitano era già morto. Inutili gli immediati tentativi di rianimazione posti in essere dagli agenti: il cuore del detenuto si era fermato per sempre. Il salernitano, in carcere per violenza sessuale e reati legati agli stupefacenti si è tolto la vita impiccandosi nel carcere di Secondigliano dove era detenuto da qualche tempo. Il salernitano pare si trovasse nella sezione infermeria, quindi era da solo in cella. Sull’accaduto è intervenuto il garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello “ancora una volta si muore di carcere contravvenendo allo spirito costituzionale che all’articolo 27 recita che il carcere ha una funzione rieducativa e di socializzazione. Anche in questo luogo così remoto vanno rispettati i diritti e la dignità delle persone”. Secondo il garante “quando si muore di carcere ed in carcere è una sconfitta per tutti: sia per gli operatori che si prodigano quotidianamente, tra mille difficoltà per rendere più umane le pene, sia per la politica che ha fatto del carcere e, più in generale, della giustizia penale, un luogo di afflizione, di vendetta ed esclusione sociale”. A parere di Ciambriello “occorre bilanciare la certezza della pena, il bisogno di giustizia delle vittime, con la possibilità di recuperare e far ricominciare a chi ha sbagliato”. «Si tratta dell’ennesimo fallimento dello Stato – ha sottolineato Aldo Di Giacomo del sindacato di polizia penitenziaria Spp – che non ha nessun interesse nè per i carcerati e nè per la Polizia penitenziaria. Il mondo carcerario allo Stato non interessa. Vuole rieducare tutti ma così facendo si da la possibilità a chi, di rieducazione non ne vuol sapere, di continuare a delinquere». Di Giacomo ha anche lanciato l’invito ad essere «meno commentatori e più autori di atti concreti».