
Antonio Manzo
Se Vittorio Salemme ha potuto pubblicare un bel saggio sulla Democrazia Cristiana a Salerno, intrecciando virtuosamente la storiografia locale a quella nazionale, lo deve all’ampio archivio della Dc che a partire dal 1946 ha conservato carte, giornali e verbali congressuali del partito, contenziosi interni, applausi e fischi connaturati all’azione politica. Il libro sarà presentato venerdì prossimo dallo storico Alfonso Conte, dal rettore dell’università Giustino Fortunato” di Benevento, Giuseppe Acocella e dall’ex deputato Tino Iannuzzi. Cinquant’anni e passa di storia politica salernitana conservati grazie all’opera costante, quotidiana e certosina dell’equipe di funzionari del partito che lo arricchivano nella stanza di palazzo Sorgenti. Non c’era telegramma, non c’era verbale, non c’era articolo politico che la squadra del tempo guidata da Salvino Caramagna, storico funzionario dc, non rientrasse in una cartella ben posizionata negli scaffali e arricchita con il lavoro di raccolta di Luisa Postiglione, Giovanni Pierri, Isa De Rosa, Rosaria Leone, Carmine Eneches e Antonio Palillo. L’archivio storico che, nei giorni del Partito Popolare, sarebbe dovuto andare all’Istituto Sturzo di Roma, trovò sistemazione, prima della distruzione, nei locali della biblioteca provinciale di Salerno. È merito di Vittorio Salemme l’aver riportato alla luce, con fonti documentali, l’esperienza salernitana della lunga stagione della Democrazia Cristiana dai primi anni del dopoguerra fino alla sua dissoluzione. Salemme ha . conferito dignità politica all’azione e alla presenza del partito scudocrociato nella provincia di Salerno con la lunga stagione di presenza. Ha ripreso un libro del 2017 in edizione aggiornata con nuovi capitoli che ebbe buona fortuna prim’ancora che il giudizio di storici di vaglia e di quello di diretti protagonisti dell’esperienza democratico cristiana come Gerardo Bianco, Ciriaco De Mita e Enrico Giovine oltre che dello storico Giuseppe Cacciatore., Prim’ancora che gli storici Guido Formigoni, Paolo Pombeni e Giorgio Vecchio lamentassero nel loro voluminoso libro sulla “Storia della Democrazia Cristiana” l’assenza di specifici studi territoriali sull’esperienza della Dc, Vittorio Salemme aveva avviato una attività di ricerca, di cui si sentiva obiettivamente la mancanza, intrecciando tutte le dimensioni del partito, quella societaria, quella statuale-istituzionale, nonché l’intreccio tra partito debolmente unitario e fortemente plurale. Il compiuto è nella scia di quello svolto dallo storico Diomede Ivone che volle studiare un “partito della libertà” in terra salernitana. Il libro di Vittorio Salemme arriva nel pieno del dibattito politico sulla ricostruzione di un “centro” politico e proprio quando il giudizio sulla DC, non privo della illusione della ricostruzione, continua a oscillare tra demonizzazione e rimpianto: finora è insomma mancata un’indagine storiografica che ne esaminasse l’intera vicenda in maniera rigorosa, priva di indulgenza nei confronti sia di pesanti condizionamenti ideologici sia di speciose velleità giustificazioniste. Un tentativo, quello di Salemme, che è stato reso possibile anche grazie alla recente accessibilità di un archivio con l’opportunità di consultare documenti, diari e memoriali di grande interesse. Il testo chiarisce sin da subito la peculiarità della Dc salernitana, sorta per iniziativa autonoma di parti significative del laicato cattolico, ma ben presto dotata anche di un preciso mandato gerarchico con l’influenza dell’arcivescovo Demetrio Moscato, un capitolo decisivo da riscoprire, dei Comitati Civici, dei gruppi di universitari non sempre teneri, a ragion veduta, con il partito dei cattolici A 30 anni dalla conclusione di quella vicenda della Democrazia Cristiana italiana, gli storici possono finalmente procedere a una distaccata ricostruzione degli eventi e alla loro meditata interpretazione. È quanto ha inteso fare Vittorio Salemme che si caratterizza per accuratezza e profondità analitica: basti pensare che nell’arco di cinquant’anni, dal 1945 al 1991, la Dc salernitana ha avuto modo di confrontarsi e di rinnovare, almeno in parte la classe dirigente attraverso lo svolgimento di 17 congressi provinciali ordinari, oltre a quelli straordinari, con una dirigenza diffusa sul territorio provinciale: uomini nati in famiglie della piccola e media borghesia, provenienti dall’Azione Cattolica o dal mondo professionale della riforma agraria come della pubblica amministrazione. Il caso politico di Carmine De Martino che si oppose alla riforma agraria e la passione patita nella stessa Dc da Carlo Petrone rappresentarono due pagine storiche. Anche a Salerno la Dc fu un “partito plurale” nonostante la ingessatura dei vertici parlamentari fin dagli anni della svolta nazionale di Amintore Fanfani. Un ceto parlamentare salernitano sempre identico a se stesso che, sia pure per riconosciuti meriti elettorali e politici, costituiva un “tappo” alla fisiologica riproduzione di un ceto dirigente (basti ricordare l’esperienza di Marcello Torre, ucciso dalla camorra o di Enrico Giovine che, entrambi, avrebbero potuto ricoprire ruoli parlamentari se avessero avuto dalla loro parte maggiore attenzione. Il partito salernitano rispecchiava l’andamento del dibattito interno nazionale sia pure con significative opposizioni politiche come nel caso dell’insediamento universitario che la Dc di Menna, sconfitta, voleva nel centro storico di Salerno o quella del contarsto sulla industrializzazione della pina del Sele quando la Dc di Salerno litigò con Ciriaco De Mita. Poi vennero gli anni Ottanta quando con l’ascesa del giovane leader politico Paolo Del Mese furono rotti i cristalli del potere, con l’arrivo sulla scena di nuovi dirigenti spendibili che arrivavano dalle seconde file delle ex correnti e che non avevano trovato spazio. Poi arrivano i primi anni Novanta con la nascita del Partito Popolare che predicava bene i valori del popolarismo ma fece bazzicare male gli ultimi naufraghi del potere perduto che comunque riuscirono abilmente a sopravvivere. Ma la politica non c’era più, nell’inverno della politica. Tutta un’altra storia da raccontare.