di Rino Mele
La nostra tragica entrata in guerra, il 10 giugno 1940, fu scandita dalla voce amplificata di Mussolini, l’eco si ripeté terrificante sulle piazze di mille paesi d’Italia nell’ubriacatura dell’inconsapevolezza e nel delirio di un artificiale e retorico entusiasmo: “Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania, ascoltate!”.
Milano conobbe subito le macerie, l’urlo osceno della polvere che dopo le bombe acceca le strade, lo strazio delle pietre scheggiate divenute proiettili. Poi, il Duomo violato, la Scala distrutta, Santa Maria delle Grazie colpita nell’agosto del 1943 quando una parete del Refettorio, che ospita “L’ultima cena ” di Leonardo, cadde e l’opera, tra le più alte della nostra pittura, restò senza protezione se non quella di un telo, a cielo aperto, tutta l’estate.
Fu soprattutto Milano, ma non sola, a subire fin dall’inizio l’estrema virulenza aerea, che non cessò mai negli anni successivi. Dopo tre anni di guerra, il 3 settembre è firmato l’armistizio a Cassibile, un borgo di Siracusa, ma l’Italia è impreparata e il difficile accordo è tenuto ancora per qualche giorno segreto. Il 4 settembre, a Napoli, centinaia di Fortezze volanti (bombardieri pesanti americani) distrussero in un teatrale delirio la bella Basilica di Santa Chiara, costruita all’inizio del Trecento per volontà del re Roberto d’Angiò. Il 7 agosto (l’armistizio era stato siglato quattro giorni prima) Milano è ancora una volta bombardata incessantemente: con quest’ultima ossessiva tempesta di morte, attraverso l’umiliazione della città simbolo dell’industria e del lavoro, l’Italia veniva brutalmente sollecitata dagli Angloamericani a procedere più speditamente nel rendere esplicito l’armistizio firmato il 3 settembre: attraverso Radio Algeri, sarebbe stato, poi, comunicato al mondo da Eisenhower nel pomeriggio dell’8 settembre, alle 18.30, seguito da Badoglio che leggerà all’EIAR un’ora dopo, alle 19.42 un proclama che entusiasma e sgomenta: “Il Governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta”. Da quel momento l’Italia si scioglie e pare neve.
Come nella scena di un impensabile film, la mattina dell’8 settembre apparve nel cielo di Salerno uno spensierato giocattolo, un piccolo aeroplano inglese ad un solo motore, sembrava curioso nel voler conoscere la nostra città: s’alzava, s’abbassava in larghi giri, finché si perse lontano. Fu come un segnale onirico, un presagio, un rebus da decodificare. Quella notte il mare di Salerno si sarebbe riempito di navi, la mattina iniziò lo sbarco sul grande arco del mare.
Ma, come spiegare ai morti di guerra il perché dei bombardamenti che li avevano uccisi, ad armistizio ormai concluso? Non c’era niente da spiegare, perché lo sguardo lungo degli americani e degli inglesi era diretto ai tedeschi: l’Italia era soltanto il luogo che l’esercito nazista ancora occupava e, con o senza armistizio, venne devastato in quanto spazio provvisoriamente germanico: potevamo morire o salvarci, non eravamo nel conto.
(Mussolini e Hitler a Venezia, giugno 1934. Fu il primo dei diciassette incontri che i due dittatori ebbero in dieci anni)