Quando Wagner giunse a Ravello - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Quando Wagner giunse a Ravello

Quando Wagner giunse a Ravello

Di Vito Pinto

Era uno splendido mattino di primavera quel 26 maggio del 1880 quando a Ravello giunse Richard Wagner. Lo accompagnava la moglie Cosima, figlia di Franz Liszt, i figli ed una piccola corte tra cui il fido Humperdinck e il giovane pittore russo Paul Joukowsky, che sarebbe stato lo scenografo del Parsifal. Era primavera e, si sa, in Costiera questa stagione rende i luoghi semplicemente incantevoli: clima mite, lievi brezze di vento che accarezzano la pelle, fiori che stordiscono con il loro profumo uomini e angeli e il mare fa da placido contrappunto ad un cielo celeste. Wagner aveva 67 anni ed era fisicamente stanco, soprattutto dopo le battaglie dell’ultimo decennio in cui aveva dato vita alla complessa produzione de “L’anello del Nibelungo”: una tetralogia iniziata con “L’oro del Reno” e terminata con “Il crepuscolo degli dei”. Ma in quel momento il suo spirito si macerava alla ricerca di un ideale diverso, non più pagano, ma cristiano. Il Maestro era venuto in Italia per completare lo strumentale del Parsifal e pensare alla realizzazione scenica di quest’opera che, alla fine, sarà suo “testamento spirituale”. Erano 38 anni che Wagner sognava il completamento di quest’opera, che giungeva come meta di un lungo cammino intimo. Aveva, perciò, bisogno di uno scenario diverso da quello dove viveva abitualmente, aveva bisogno di un ambiente che, alla fine, poteva trovare soltanto in questa parte del sud Italia, dove tutto è più vivo, dove tutto è più abbacinante, dove la tavolozza della sua strumentazione potesse trovare i lascivi allettamenti di Kundry al “puro folle”: Parsifal. Prima mèta italiana fu Napoli, dove l’amico Gersdorff prese in fitto quella villa d’Agri posta all’inizio di Posillipo che principescamente discendeva, per terrazze e scalee, dalla verdeggiante collina verso l’azzurro del mare partenopeo, così ricco di storia e di miti. Da Napoli la famigliola partì per Amalfi, nell’800 luogo dell’immaginario per tanti artisti europei, fascino per l’Italienische Reise. La comitiva prende alloggio all’Hôtel des Capucins, “dal quale si gode una vista splendida della città costiera”. Nel suo diario Cosima annota: «Martedì 25 (1880). Divino viaggio fino ad Amalfi, visita al duomo, che mette Richard un po’ di malumore, però la serata sulla terrazza dell’Hôtel des Capucins gli riporta il suo buonumore, che del resto egli si era rifatto burlandosi della mia curiosità per Sant’Andrea “visto da vicino”» Poi l’attrazione del sito e le suggestioni di Villa Rufolo “impongono” al compositore una visita a Ravello, «bella al di là di ogni descrizione» annoterà la moglie Cosima nel suo diario. Qui Giovanni Boccaccio aveva ambientato una delle novelle del suo Decamerone. Al paese Wagner sale a dorso di mulo, con la moglie e il pittore Paul Joukowsky. Nel 1861, nel suo “Passeggiate per l’Italia” Ferdinand Gregorovius così descriveva l’ascesa a Ravello: «Vi si sale da Atrani percorrendo una rapida e faticosa strada, ma romantica, attraversando gallerie coperte e camminando fra vigneti, castagni e boschi di carrube. A misura che si sale, la vista del mare si fa più bella. Dalla cima delle nere rupi, coronate di torri, si getta lo sguardo sull’azzurro delle onde che si direbbero sgorgare dalla gola di Pontone.» Quando giunge a Ravello Wagner trova la torre d’ingresso e la villa Rufolo appena risistemate da Sir Francis Devil Reed, che l’aveva acquistata nel 1851, sotto la direzione del Comm. Michele Ruggiero, successivamente, direttore degli scavi di Pompei. Qualche giorno dopo il maestro scrive al suo amico Re Luigi II di Baviera una lettera in cui, tra l’altro, dice: «…ci siamo recati in questi giorni ad Amalfi sul Golfo di Salerno, forse il punto più bello d’Italia. Di là visitammo Ravello, una cittadina adesso piena di ruderi, situata in montagna, ma che ha conservato reliquie di costruzioni magnifiche del tempo dell’occupazione degli Arabi». Custode della Villa era don Luigi Cicalese, che le cronache tramandano come uomo simpaticissimo, “dalla fluente barba e dal sorriso sempre fresco sul volto”, che trascorreva le sue giornate nella cura paziente del verde e degli angoli fioriti di quel regno. Don Luigi accolse i Wagner con gentilezza; nel suo diario Cosima annota: «caffè dall’amministratore del Sig. Reid, la cui moglie, una svizzera, ci ricorda Vreneli, ed è molto piacevole nella sua serietà»; poi don Luigi accompagna il maestro nella visita della villa. Un viale a verde, che porta verso la costruzione, ha sulla sinistra una scala che permette l’accesso ad una piazzola a verde intenso. Poco più avanti lo sguardo si affaccia su un infinito eterno ed il fiato d’improvviso fa fatica nel suo percorso, «tutte vedute che bisogna ammirare e tacere, anziché provarsi a farne la descrizione», scriveva Gregorovius. Fiori multicolori, fogliami esotici, pini, cipressi, dracene e altre pregiate specie floreali, fasciate da una misteriosa armonia di luci ed ombre dimidiate, immergono il visitatore in una pace profonda, rotta dai suoni della natura, e trasportano l’essere in “magici giardini” ove, dalle corolle dei fiori, è facile che escano ragazze ammaliatrici. L’immaginifico scenario, affacciato a contrasto d’azzurro del mare etrusco, oggi come allora colpisce il visitatore, facendolo cadere in atti d’amore che diventano “peccato”: permane il bacio ammaliatore di Kundry. Wagner non sfugge alla suggestione: per tutta la vita il maestro aveva sognato il bene, il giusto, l’amore, l’uguaglianza, senza mai raggiungerli. Don Luigi Cicalese ricordava come l’entusiasmo del Maestro fosse accesa da quella lussureggiante vegetazione orientale, dai fiori occhieggianti nelle inverosimili colorazioni: fu allora che Wagner ebbe la visione pittorica e coloristica del giardino di Klingsor e che incitò il pittore a prendere tutti gli appunti necessari: aveva finalmente lo scenario immaginato. Annota Cosima: «Riprende i colori dai vecchi barattoli e li stempera nella sublime lentezza di una meditazione intima». Immerso con l’anima e la mente nel processo purificatore del “Parsifal”, in quel momento, in quel punto d’osservazione, l’uomo di Lipsia, il grande compositore capì di essere un minuscolo abitatore dello spazio e del tempo nella cui immensità ed eternità era facile perdersi, ma anche annullarsi per redimersi ed ergersi più grandi di prima. E non importava se il suo amico Nietzsche giungerà alla rottura finale, all’attacco impietoso nel momento della prima rappresentazione del “Parsifal”; scriverà che il maestro ormai era «prosternato, derelitto e a brandelli davanti alla Croce cristiana». Il 26 luglio 1882 Il “Parsifal” venne rappresentato in quella Festspielhaus di Bayreuth costruita appositamente per l’esecuzione dell’intero ciclo de “L’Anello del Nibelungo”. Richard Wagner non tornò più a Ravello anche se il ricordo di quei giorni lo accompagnò fino alla fine. Il 13 febbraio 1883, a Venezia, Richard Wagner moriva: erano trascorsi sette mesi dalla prima del Parsifal e il 17 successivo, fu trasportato a Bayreuth per essere seppellito nel giardino della sua Villa “Wahnfried”: “Adempimento del sogno”.