di Clemente Ultimo
In queste ore si susseguono, spesso in maniera molto confusa, le notizie dai fronti di guerra in Ucraina. Molto meno si è parlato dei motivi che hanno portato allo scontro tra Mosca e Kiev. Per provare a comprendere meglio quanto sta accadendo abbiamo intervistato il professore Alessandro Mazzetti, storico ed analista geopolitico. Mosca ha presentato le operazioni in Ucraina come risposta alla minaccia rappresentata dall’avanzata della Nato verso est. A suo giudizio questa percezione russa di accerchiamento è stata sottovalutata in Occidente? “Naturalmente si, anche se potremmo addirittura supporre che è stata programmata. Non bisogna certo essere degli esperti di storia russa o dei fini geopolitici per sapere che la Russia storicamente si è sempre espansa con continuità territoriale a differenza di tutte le altre nazioni coloniali europee. In più oltre alla percezione d’accerchiamento bisogna anche considerare altri fattori di assoluto interesse quali la percezione per la Russia e il suo popolo che l’Ucraina sia parte integrante del territorio nazionale, infatti è chiamata la piccola Russia. Altra considerazione di una certa importanza è che con la presidenza Biden quei canali di dialogo tra Stati Uniti e la Federazione Russa create da Trump, pur maldestramente e senza una strategia reale di lungo periodo, si sono bruscamente interrotti. Questi elementi, che certo non sono gli unici, hanno sicuramente aumentato la percezione già storica del popolo russo di essere circondati dall’occidente”. Altro punto critico è il Donbass: la guerra che infuria nella regione separatista da otto anni non ha mai suscitato particolare attenzione né nelle cancellerie né nelle opinioni pubbliche europee ed occidentali, eppure la popolazione civile ha pagato e paga un prezzo alto. Le diplomazie occidentali, ad esempio, non sono riuscite a trasformare in realtà gli accordi di Minsk, che prevedevano tra l’altro ampia autonomia per i territori russofoni. Perché secondo lei? “Cercherò di semplificare una questione così complessa senza banalizzarla. È storicamente provabile come alcuni conflitti ed alcune crudeltà siano più attenzionate dalla stampa da altre. Per esempio da anni assistiamo inermi al massacro della popolazione cattolica e cristiana in alcune zone dell’Africa e del Medioriente, ma non ho notizie né di sanzioni né di mobilitazioni da parte della comunità internazionale. L’esempio curdo e quello armeno fortificano questa verità. Ora gli accordi di Minsk, soprattutto nella seconda stesura, non hanno mai avuto seguito poiché sono recepiti dai nazionalisti ucraini come una sconfitta e secondo loro sbilanciati a favore di Mosca. Forse proprio per questo non sono stati mai attuati, lasciando però così un’arma politica formidabile in mano a Putin. In fondo se ci pensiamo bene possiamo fare un paragone con la Crisi di Cuba. La storia ha giustificato l’atteggiamento durissimo americano poiché fu d’accordo con la presidenza Kennedy che piantare dei missili sull’isola caraibica così vicina agli Stati Uniti fosse un vero è proprio coltello puntato alla gola di Washington. Da allora Cuba è sotto embargo”. C’è differenza con quello che sta accadendo in Ucraina? “Io ci vedo più analogie che diversità. C’è un’altra questione importantissima, il riconoscimento della Crimea come territorio russo. Credo che il punto focale sia proprio questo poiché senza quel territorio la Mosca non avrebbe le basi navali per la flotta del Mar Nero ed è impensabile che ciò accada soprattutto dopo i recenti successi internazionali che hanno portato la flotta russa al di là dello stretto dei Dardanelli consolidandosi sino al Mediterraneo centrale. La diplomazia esiste per lenire i contrasti e non aumentarli”. L’Unione Europea, ancora una volta, non è riuscita a giocare un ruolo da protagonista nella crisi tra Russia ed Ucraina. “In questo quadro credo che proprio l’Ue sia la vera sconfitta. Il vero vincitore è indubbiamente Biden che voleva allontanare la Russia dal contesto europeo ed c’è riuscito grazie anche all’intransigenza e l’impulsività di Zelins’kij. Se l’Ue si fosse dotata veramente di un esercito comune e di un vero organismo o ufficio unitario di politica estera sarebbe stata realmente in grado d’intervenire, ma in Europa gli egoismi di alcune nazioni al momento sopravanzano il desiderio unitario”. Ad oggi vede la possibilità di una soluzione diplomatica o sarà il campo di battaglia a decidere? “Naturalmente la soluzione diplomatica è la sola possibile poiché Biden sa bene che Putin non ha le risorse per un conflitto allargato e di lungo periodo, mentre Putin è ben consapevole che Biden non sposterà le truppe dall’Oceano Pacifico per consolidare il fronte europeo. Un gioco delle parti che se fosse stato condotto con lungimiranza avrebbe forse evitato il conflitto in Ucraina”. Che impatto potranno avere per l’economia italiana le sanzioni contro Mosca? Colpiranno solo il settore energetico? “Naturalmente grave. L’Italia è storicamente una nazione deficitaria sia sul piano energetico e sia di materie prime. Il mercato russo per le nostre esportazioni è fondamentale penso ai generi di lusso e tutta la 4° gamma. Poi parlando di energia e quindi di NGl che dire? L’Italia dipende dall’estero e sono anni che non abbiamo una vera e propria strategia energetica. Adesso bisognerà ricorrere ai ripari, ma bisogna farlo con intelligenza e lungimiranza. Attualmente senza il gas TAP far lavorare le nostre aziende, riscaldare le nostre case e anche far viaggiare le nostre importazioni (l’Italia dipende per il 90% dalle importazioni effettuate via mare) non sarebbe possibile. Parafrasando Vegezio si vis pace para bellum, ma questa massima vale anche per il settore energetico ed industriale, ancor più quello geopolitico”.