Di Salvatore Memoli
L’intervista del Procuratore della Repubblica Borrelli rilasciata al
nostro giornale ha attivato molte riflessioni, alcuni mugugni e tanti irriverenti retropensieri. La novità è da salutare positivamente perché per noi anche le linee programmatiche ed operative di una Procura della Repubblica, come avviene in altri paesi del mondo, possono essere verificate democraticamente. La riflessione apre ad un confronto che è utile soprattutto se attiva una partecipazione positiva dell’opinione pubblica alle azioni giudiziarie di un territorio. Mettiamola così!
Resta il dubbio se il parlare del Procuratore è un messaggio in codice o un parlare a nuora perché suocera intenda.
Ribadisco il mio stupore all’intervista per un paio di motivi personali. Fin qui ero abituato ai consuntivi che normalmente vengono freddamente rassegnati nella giornata di Apertura dell’anno giudiziario, in cui in pompa magna si danno dati di attività svolte ad un ricercato e fintamente interessato parterre di invitati. La fissazione di criteri di priorità dell’attività giudiziaria non mi pare una novità se riferita a misure organizzative tradizionali del lavoro quando è fatto con moduli.
Inquieta tutta l’intervista quando lascia intendere zone di ombre dell’azione penale.
Qui occorre chiarirsi se chi ha preceduto il Procuratore era affetto da strabismo oppure se le precedenti direttive di chi era a capo dell’ufficio hanno prodotto risultati che hanno condizionato ( anche involontariamente) l’attività della polizia giudiziaria, degli uffici della Procura e la conseguente operatività delle fin troppo virtuose stanze della Procura.
Sui parametri di priorità nessuno mai ha fatto mistero, anche in assenza di specifiche previsioni normative. Si capisce allora che il discorso di sposta sul virtuosismo dei moduli organizzativi e di alcuni magistrati dell’Ufficio Giudiziario.
Se un Procuratore della Repubblica affronta l’agone della comunicazione deve aspettarsi che gli uditori vogliano interloquire e dirgli con franchezza che la sua apertura può essere utile se consente di ricordargli che non sono gli insabbiamenti di alcuni processi come egli paventa che fanno disperare i cittadini. Certamente non li rallegrano, ma negli ultimi decenni abbiamo fatto l’esperienza di processi che accelerano ed altri che stentano a partire. Non occorre essere raffinati giuristi per capire che l’opinione pubblica parteggia per l’una o l’altra soluzione e si alterna nei ruoli di accusatore e difensore del processo a cui si appassiona. Sta alla giustizia con la G maiuscola garantire che l’amministrazione sia esercitata sempre nel superiore interesse di tutti. Resto sinceramente preoccupato se devo pensare che ci sono processi che hanno risentito di un colpevole strabismo ed altrettanto infastidito se per altri la corsa processuale è dettata da una malcelata voglia di definire a tutti i costi una determinata azione penale.
Quello che preoccupa è pensare se esistono comportamenti organizzativi che sfuggono a parametri oggettivi e trasparenti di orientamento dati dai capi delle procure. Come se la tempistica dipendesse dall’uso di un turbo processuale che ne determina la definizione e la durata.
Ai cittadini interessa sapere che esistano direttive a cui tutto l’ufficio si attiene e che garantiscono uniformità di esercizio dell’azione penale e di rispetto e comunicazione dei criteri di priorità adottati da chi presiede l’ufficio e condivisi da tutti i collaboratori. Anche l’assegnazione dei processi deve essere rispettata rigorosamente per sfuggire ad una canalizzazione che possa far credere alla predestinazione degli stessi.
Di certo un pensiero si fa strada e riguarda il processo in sé. Non ci sono classificazioni di processi in rilevanti e meno rilevanti. L’azione penale che non si conclude con l’archiviazione ci porta a credere che qualsiasi violazione penale, di per se stessa, viola un ordinamento normativo e pertanto deve essere valutata con lo stesso rilievo che non accetta nessun accantonamento del processo.
Ci siamo abituati a pensare che ci sono processi che appassionano alcuni magistrati più di altri per la ribalta che offrono a chi li celebra. Ci sono processi minori che non fanno notizia ma che se ben istruiti e sostenuti sanano le ferite di un sociale criminale che spaventa l’opinione pubblica.
Se il politico sotto giudizio fa notizia di più, una società di piccoli ladri, spacciatori di droga, furfanti e furfantelli che crescono e succhiano il sangue della collettività fa altrettanto paura da meritare la stessa priorità di qualsiasi altro processo. I processi meritano tutti un’organizzazione che sostenga e garantisca l’azione penale, attorno alla quale c’è il lavoro di tanti, polizia giudiziaria, uffici giudiziari, pubblici ministeri e tante altre figure.
La fissazione dell’udienza per tutti è un atto dovuto che non può essere inevaso e ciò a prescindere se il capo dell’ufficio ha sue priorità. Le priorità sono fatti troppo contingenti e talvolta sottopongono a doppia inquisizione l’imputato.
La Legge per sua natura è al di sopra di visioni, previsioni e priorità.
Il compito di un Ufficio giudiziario è garantire pari trattamento per tutti.
Altro tema interessante è il principio di avocazione dei processi… di quelli che dormono, di quelli che non avanzano o peggio di quelli per il quale si ha dubbio sulla trattazione oppure se si vuole di quelli che rischiano un effetto frustrato degli obiettivi per tante ragioni che gli operatori conoscono bene.
Purtroppo l’avocazione di un processo non ha mai avuto felice riscontro!
Dunque di cosa parliamo?!
L’opinione pubblica è attonita soprattutto perché dalle parti della Procura sembra che non ricordino mai che l’obbligatorietà dell’azione penale non ha fatto la guerra con l’archiviazione di un’azione penale se questa non è sorretta da elementi concreti per essere sostenuta. La Procura sembra correre precipitosamente verso l’iscrizione a ruolo di nuovi processi penali, per molti dei quali diventa oneroso sostenere l’accusa nei dibattimenti.
Il problema da chiarire con il Procuratore non è accendere altri processi come si è fatto finora. Come se le fauci della Procura fossero avide di incriminazioni a go go. Le attese di tutti sono legate ad una sostanziale parità di trattamenti dei cittadini senza distrarsi per alcuni che hanno comportamenti bizzarri e delittuosi, senza essere mai attenzionati da una pubblica accusa ed altri che si ritrovano sotto giudizio per molto meno di un comportamento omissivo e delittuoso. Rimarchevole è anche la statistica di azioni penali che si gonfiano di accuse e che strada facendo si riducono a brandelli di condotte non rimarchevoli che mettono l’accusa in aula in condizione di arrampicarsi sugli specchi ovvero di sostenere l’incriminazione purché sia, almeno fino a sentenza di primo grado che non faccia perdere la faccia per incontrare la definitiva assoluzione in grado di appello.
La scelta organizzativa del Procuratore della Repubblica rientra nelle sue potestà. Più specificamente a lui si chiederebbe un coordinamento di tutti i pubblici ministeri anche sotto il profilo della valutazione delle loro attività. Priorità organizzative e inadempienze funzionali sono il vero volano di una giustizia nuova per tutti, con la garanzia di una terzietà del magistrato che pur vivendo interamente il territorio deve trascenderlo per sua funzione e dimenticarlo, così come deve dimenticare amici, nemici, potenti e miserabili di turno. Perché per tutti è costituito garante di una rispettosa attuazione delle Leggi di uno Stato sovrano.