Premio Charlot: musica all’estremo confin del mare - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Premio Charlot: musica all’estremo confin del mare

Premio Charlot: musica  all’estremo confin del mare

Di Olga Chieffi

“Un bel dì, vedremo levarsi un fil di fumo dall’estremo confin del mare….” E’ l’attesa, il sogno, la speranza, che già racchiude l’ombra di morte, è il mare di Madama Butterfly, che ci è balenato dinanzi alle prime letture del Gala del Premio Charlot 2025. E’ stato proprio il tema del mare, un assoluto dagli infiniti temi e sfaccettature, a segnare le due ultime serate della XXXVII edizione della Kermesse. La gara, lo show, i grandi comici del passato e i loro eredi, il futuro nel nome di Charlie Chaplin, che per gli attori e tutti noi, resta un riso amaro, un’ironia triste e dissacrante, disincantata, malinconica, feroce come la critica sottile ad ogni forma di dittatura e ad un modello, quello dell’ “American way of life”, che non è mai stato e mai sarà tutto rose e fiori, un invito, il suo, a rimanere fedeli all’essenza medesima dell’arte, che è interpretazione e ricreazione della vita. Il concerto di Eduardo De Crescenzo, elegantissimo prelude al gala ha salutato sul palcoscenico del Teatro Verdi, il cantante e fisarmonicista, con un quintetto reale essenza del jazz italiano, con Julian Olivier Mazzariello al pianoforte, Daniele Scannapieco ai sassofoni tenore e soprano, Enzo Pietropaoli al contrabbasso, Marcello Di Leonardo alla batteria e Susanna Krasznai al violoncello. La formazione è stata segnata dalla densa, ispirata circumnavigazione pianistica, di Julian , capace di imprimere una dimensione internazionale alla musica proposta, forse uno dei più “americani” dei nostri pianisti. Una superba sintesi tra classe cristallina, senso della tradizione proiettata in una cifra espressiva poliedrica, ora pirotecnica, ora intima, dall’alto di una pratica solida e comunicativa che, nel trasmetterci una grande carica artistica ed espressiva, si è fatto apprezzare anche per un canovaccio non sclerotizzato, fondato su procedimenti solistici di grande varietà strutturale ed emotiva. Un plauso al suono di Daniele Scannapieco, in perfetto stile, che è venuto fuori sempre con intensità espressiva e fraseggio unico, profondamente ispirato, prestandosi ad una molteplice varietà di ascolti perché densa di riferimenti: dalle radici ai vari stili che si sono susseguiti nella storia del jazz, per esprimere la musica colta contemporanea, qualche citazione che abbiamo colto nel sax tenore alla Rollins, da St.Thomas, o nel pianoforte tra echi classici e una raffinatissima intro su un medley di Gershwin, mentre un po’ sacrificata è stata la ritmica affidata a Pietropaoli e Di Leonardo, latori di un gioco di estrema parsimonia di gesti e figure, in grado di produrre una notevole varietà di colori e di situazioni, in particolare negli scambi con il pianoforte, sempre, però, rigorosamente funzionali all’insieme. La melodia è la forma più antica ed essenziale di espressione musicale, diretta, incisiva, capace di toccare i sentimenti e di essere ricordata. De Crescenzo, ha offerto nuove sfumature espressive, riflettendo la sua personalità complessa: ottimista, malinconico, con un sorriso difficile, con un momento di intimità, in cui l’artista, dopo aver concluso tra gli applausi la scaletta ufficiale, su richiesta del pubblico, è tornato sul palco accompagnato dal pianista, improvvisando interpretazioni di pezzi come “C’è il sole”, “Il racconto della sera”, “Dove c’è il mare”, e altri ancora, culminando con “La musica va”, con la Susanna Krasznai, che ha potuto liberare il bel suono del suo strumento nel preludio della Suite No. 1 in Sol Maggiore di Johann Sebastian Bach. Il gala del giorno successivo, forse, ha salutato uno dei suoi punti più alti nell’omaggio di Federico Buffa alla nostra lingua, all’italiano, che mai si piegherà all’intelligenza artificiale, come era usato dai grandi storyteller dello sport, come lui, pensando a Nino Petrone, in una giornata in cui si sono scontrati Torino e Napoli, squadre che con le loro tifoserie hanno da guardare “Oltre” la traversa per dar conto, ogni volta, alla determinazione degli Invincibili e alla danza di Maradona, da Buffa emozionalmente raccontati, per i quali i linguaggi della musica, e qui non posso non citare la parola scritta di Paolo Isotta, e dello sport possono interagire con gli stessi vocaboli, essendo arte. Gente di Mare, ha poi, salutato anche i pensieri marittimi di Paolo Logli, che hanno avuto sentore di già ascoltato, già detto, tra Baricco e Iain Chambers. Musica e parole, con il Maestro (è oramai difficile poter usare questo termine) Ciro Caravano alla testa del Coro Pop di Salerno, “religiosamente” a cappella, interprete di ‘O marenariello. Il Caruso di Lucio Dalla in una doppia versione di Pierdavide Carone ed Ermal Meta, Amara sulle tracce della Mannoia, la giovanissima Mimì, con Guarda che luna datata 1959 del sognante Fred Buscaglione, la voce di Mario Biondi e in duo, ancora Ermal Meta con Fabrizio Moro, splendidi esecutori dei loro successi legati al mare e all’infelice momento che sta attraversando l’Umanità, tra le interpretazioni dei testi da parte di Raoul Bova, Riccardo Scamarcio, Paolo Conticini e Lunetta Savino. Gaetano Curreri e gli Stadio hanno posto l’aureo sigillo al gala, con Stella di Mare. Ancora Dalla per un messaggio sul nostro diviso, dissonante, Mare Nostrum, dove il silenzio, anche sott’acqua, e qui devo contraddire l’accorsatissimo Raoul Bova, non esiste. “E’ là, giustamente, l’origine. Noise e nausea e nautica, noise e nave sono della stessa famiglia. Non bisogna stupirsene. Non intendiamo mai bene ciò che chiamiamo rumore di fondo che al mare, questo bailamme tranquillo o veemente sembra stabilito là per l’eternità. Lungo il piano orizzontale stretto si scambiano senza posa cadute d’acqua, stabili, instabili. Lo spazio è invaso, interamente, dal clamore; siamo occupati per intero dallo stesso clamore. Questa agitazione si trova nell’udito, al di qua dei segnali definiti, al di qua del silenzio. Il silenzio del mare è un’apparenza. Il rumore di fondo è forse lo sfondo dell’essere”. (Michel Serres “Genesi”).