Il cantautore milanese, celebre per la meraviglia dei bambini e l’istinto naturale dei piccioni, salirà stasera sul palco del premio Charlot. Lo abbiamo incontrato alla vigilia dell’evento
Di Olga Chieffi
E’ un artista controcorrente. E sappiamo quanto sia difficile essere controcorrente in Italia. Giuseppe Povia, classe 1972. Da Sanremo ad oggi ha cantato sempre il suo dissenso, prendendo posizioni che altri non hanno avuto il coraggio di prendere. Questa sera salirà sul palco della serata inaugurale della XXXV edizione del Premio Charlot. Lo abbiamo incontrato alla vigilia dell’evento.
Povia vince il festival di Sanremo ormai nel 2006 con la sua hit “Vorrei avere il becco”. Ma era già nel 2005 lo stesso Povia fece il suo esordio sul palco dell’Ariston presentando “I Bambini fanno ohh” anche se la canzone non poté tuttavia essere ammessa al festival della musica italiana per aver già presentato in pubblico il brano, ha pubblicato post era Covid l’undicesimo album: si chiama “Imperfetto”, come nasce questo album?
“Il disco “Imperfetto” nasce nel primo lockdown a marzo 2020. Dovevo inventarmi qualcosa per contenere la depressione e le tantissime incertezze di quel periodo. Così ho sfruttato una vecchia cantina per farci un piccolo studio e realizzarlo, dalla scrittura al mastering. È venuto bene, sa di cantina per questo l’ho chiamato così”.
Oltre venticinque le tappe del tour 2023 che Povia porterà in giro per la penisola.
Questa volta, il cantautore dei “I bambini fanno ohh” e “Vorrei avere il becco” farà ascoltare le track list di “Adolescenza”, che è anche un libro?
“Il tour ha raggiunto quasi le 100 date e sto ancora cantando “Imperfetto”, “Nuovo Contrordine Mondiale” e le canzoni del passato”.
Quanto è importante e come si fa a sorridere oggi?
“Personalmente cerco di prendere la vita giorno per giorno, con calma, progettando ma anche improvvisando. E poi c’è la musica che mi aiuta a superare gli stati d’animo bassi quando ci sono”.
Dove guarda l’industria musicale? Cosa si può dire e cosa no? Lei si sente un discriminato?
“L’industria è industria sempre quindi punta a fare soldi dove li può fare, questo vale per tutti i settori. Io dico quello che penso, non riesco ad essere politicamente corretto, cioè falso. A volte per questo si chiude qualche porta importante ma se ne aprono altre come il Premio Charlot, prestigiosissimo. Felice di esserci il 20 luglio”.
Come vede la strambata verso il rap e la continua contaminazione con la tradizione araba e balcanica?
“È un genere di successo, piace a molti, specie alle nuove generazioni quindi lo vedo bene. Spero che ci siano canzoni che restino nella storia e non rimangano in testa solo per qualche mese”.
Quale è il suo rapporto con la musica “classica”, anche se noi siamo contrari alle barriere
“Amo la classica, soprattutto Wagner e Vivaldi”.
La musica in qualsiasi contesto e di qualsiasi genere può essere ancora vera e quindi salvifica?
“A me scrivere parole, musicarle e farle diventare canzoni, ha salvato la vita!”.