Donne che fan la storia letteraria
Di Federico Sanguineti
In un racconto di Edith Wharton, intitolato La tragedia della Musa (The Muse’s Tragedy) e pubblicato nel 1899, si immagina la storia d’amore, platonicamente vissuta, fra una donna, Mary Anerton, ispiratrice del poeta Victor Rendle (“Silvia” in un “immortal sonnet-cycle”) e un critico letterario, Lewis Danyers. Quest’ultimo, durante un viaggio in Italia, si innamora di lei, che, in una lettera conclusiva, lo respinge rivelando la sua delusione nei confronti del mondo maschile. I sonetti per “Silvia” erano rivolti a un’entità astratta, non a una donna concreta: “But what are they? A cosmic philosophy, not a love-poem; addressed to Woman, not to a woman”. Nella misura in cui si afferma il modo di produzione capitalistico, la borghesia priva la donna della propria soggettività culturale e la riduce a oggetto della soggettività maschile: nasce quello che Carla Lonzi definisce nel 1970 (in Sputiamo su Hegel) “il monologo della civiltà patriarcale”. Così, nella manualistica scolastica, a partire dalla Storia della letteratura italiana (1870) di De Sanctis, meno dell’1% dello spazio è riservato a scrittrici. Ciò rispecchia il fatto che, nel modo di produzione capitalistico, meno dell’1% della proprietà privata globale è in mano alle donne. Ma, un secolo prima di De Sanctis, in un’altra Storia della letteratura italiana, quella di Tiraboschi (pubblicata fra il 1772 e il 1782), le donne sono ben presenti in quanto soggetto culturale, non ridotte a puro e semplice oggetto dell’intellettuale borghese per il quale, “se vuoi trovare l’ideale femminile compiutamente realizzato nella vita in quel suo complesso di amabili qualità, dèi cercarlo non nella donna ma nell’uomo” (parole omoerotiche di De Sanctis nel capitolo dedicato a Torquato Tasso). Invece, agli occhi di Tiraboschi, le scrittrici sono sempre esistite: per la Magna Grecia, Teano e Nosside; per Roma, Sulpicia. Venendo alla prima età moderna, due capitoli sono assegnati alla “celebre Cristina da Pizzano” (1365-1430), “donna poco nota in Italia, a cui pure accrebbe non poco onore”. Segue, “ben istruita in tutte le scienze”, Isotta Nogarola (1418-1466). Dopo Lucrezia Tornabuoni (1427-1482) “e altre simili poetesse”, si segnala Ippolita Sforza (1445-1484), “dotta nella lingua greca e in ogni genere di amena letteratura”, nonché Cassandra Fedele (1465-1558). Sotto silenzio non restano Laura Cereta (1469-1499), “di cui ha scritta la Vita, e pubblicate nel 1680 le lettere Latine Jacopo Filippo Tommasìni”, e Alessandra Scala (1475-1506). Finalmente, più o meno spazio è riservato non solo a Veronica Gambara (1485-1550) e Vittoria Colonna (1490-1547), presentate come Poetesse celebri, ma anche ad Altre poetesse e scrittrici:Chiara Matraini (1515-1604), Laura Terracina (1519-1577), Isabella di Morra (ca. 1520-ca. 1546), Lucia Bertana (1521-1567), Gaspara Stampa (1523-1554), Olimpia Morato (1526-1555), Ersilia Cortese (1529-1587 [?]), Tarquinia Molza (1542-1617), Veronica Franco (1546-1591), Maddalena Campiglia (1553-1595) e Modesta Pozzo, “che prese talvolta il nome di Moderata Fonte” (1555-1592). Inoltre: Margherita Sarrocchi (1560-1617), Isabella Andreini (1562-1604), Lucrezia Marinella (1571-1653), Faustina Maratti Zappi (ca. 1679-1745) e Luisa Bergalli Gozzi (1703-1779). Così, in una pagina intitolata La Poesia Italiana coltivata da molte Donne, si giunge alla conclusione: «Fin dal primo nascere della Poesia Italiana avean cominciato le Donne a gareggiare cogli uomini nel coltivarla».