Pasquale e Michele Licito, producono canapa light - Le Cronache Ultimora
Ultimora

Pasquale e Michele Licito, producono canapa light

Pasquale e Michele Licito, producono canapa light

di Erika Noschese

 

 

Il recente Decreto Sicurezza ha gettato un’ombra di incertezza sul futuro del settore della canapa light in Italia, con notizie di chiusure e sequestri che si susseguono. Per fare chiarezza, abbiamo intervistato Pasquale Licito, socio con il fratello Michele di Radici Farm in Italia e RootsWeed in Spagna.

Le recenti notizie parlano di chiusure di strutture e sequestri a danno dei negozi che vendono prodotti a base di CBD. Qual è la vostra esperienza a riguardo?

«Non ci risulta che ci siano state strutture effettivamente chiuse, nel senso di sospensione dell’attività con blocco della SCIA. Noi, come tanti altri, continuiamo a lavorare. E lo facciamo non solo per necessità economica, ma perché crediamo che il lavoro, se svolto nel rispetto delle regole, sia un diritto inviolabile. Non stiamo facendo nulla di illecito: vendiamo un prodotto che non può in alcun modo essere considerato una droga. La tossicologia forense, in più occasioni, si è espressa chiaramente, stabilendo che non provoca effetti psicoattivi. Si tratta di un prodotto che ha la stessa efficacia di un’erba aromatica come il rosmarino o il basilico. Per questo motivo continuiamo a portare avanti la nostra attività con determinazione, consapevoli di essere dalla parte della legalità».

Sostiene che la normativa attuale sia ingiusta e incoerente. Ci può spiegare perché?

«Sì, riteniamo che l’attuale normativa sia profondamente ingiusta e incoerente. Da anni manca un quadro chiaro e definitivo, e continuiamo ad assistere a provvedimenti che generano solo incertezza, andando a colpire un intero settore che opera nel rispetto delle regole. In questo contesto, l’Associazione Canapa Sativa Italia, di cui siamo soci, sta portando avanti una serie di iniziative istituzionali per tutelare la filiera. Tra queste, anche un’importante attività di advocacy condotta insieme al costituzionalista professor Alfonso Celotto. Celotto, in una recente intervista, ha messo in evidenza il tema della libera circolazione delle merci nell’Unione Europea: paradossalmente, non potremmo lavorare con la nostra sede italiana, ma potremmo importare lo stesso prodotto dalla nostra sede spagnola. Si tratta di una contraddizione che penalizza gravemente le aziende italiane, pur essendo l’Italia uno dei principali produttori di canapa light in Europa. Un contesto del genere rende impossibile una pianificazione imprenditoriale seria e stabile».

Afferma che la vostra attività è costantemente sotto l’occhio delle forze dell’ordine, nonostante la legalità dei vostri prodotti. Ci sono stati episodi particolari?

«Sì, negli anni tutte le aziende del settore hanno vissuto diverse situazioni di controlli, perquisizioni e sequestri. Le Forze dell’Ordine agiscono in base alle disposizioni ricevute, e questo è comprensibile. Tuttavia, spesso ci si ritrova in una condizione di forte esposizione e incertezza, pur operando nel pieno rispetto delle normative».

Qual è, a suo avviso, il vero problema che lo Stato dovrebbe affrontare in relazione alla canapa light?

«Il problema principale è che questo settore non è regolamentato. E questa mancanza pesa soprattutto su chi, come noi, vuole lavorare nel pieno rispetto delle regole. Come imprenditori, non chiediamo scorciatoie: al contrario, chiediamo una normativa chiara, rigorosa e definitiva, che consenta di distinguere nettamente chi lavora in modo trasparente da chi agisce nell’ambiguità. Vorremmo che venissero introdotte regole anche più severe, ma strutturate in modo serio e funzionale, con standard stringenti di qualità, controlli accurati e una visione di filiera che valorizzi un prodotto 100% naturale, ecosostenibile e tracciabile. Una regolamentazione così ci permetterebbe di investire, pianificare e offrire un prodotto sicuro sia dal punto di vista della salute che dell’ambiente. In questo momento, invece, viviamo nell’incertezza e nell’impossibilità di programmare il nostro lavoro con serenità».

Ritiene che dietro queste azioni ci siano motivazioni diverse da quelle dichiarate?

«Secondo noi, la giustificazione ufficiale che viene data con questo decreto non regge appieno, perché la canapa light, come più volte dimostrato anche da studi tossicologici, non produce effetti collaterali significativi. Per questo motivo, è difficile accettare che tali misure siano motivate esclusivamente da ragioni tecniche o di sicurezza».

Parliamo delle conseguenze pratiche di questa situazione per gli operatori del settore. Quali sono i rischi concreti che corre la vostra filiera?

«La principale conseguenza di questa incertezza normativa è che l’intera filiera della canapa light in Italia è a rischio concreto. Parliamo di un settore che coinvolge oltre 30.000 persone, con un fatturato che si aggira intorno ai 2 miliardi di euro all’anno. Questa è una filiera d’eccellenza italiana, che rappresenta una risorsa importante per l’economia nazionale».

In caso di sequestro, cosa succede al prodotto e come influisce sulla vostra attività?

«In caso di sequestro preventivo, il prodotto viene trattenuto fino al completamento delle analisi di laboratorio. Qualora queste ultime confermino che il prodotto è provo di effetto drogante, viene restituito al legittimo proprietario. Tuttavia, il tempo necessario per le analisi può essere anche di diversi mesi, e durante questo periodo non è possibile utilizzare il prodotto, che spesso perde le caratteristiche qualitative essenziali per la vendita. Questa situazione genera un forte impatto negativo sulla nostra attività, perché ci costringe a subire ritardi e perdite economiche, oltre a compromettere la continuità produttiva e commerciale».