di Michelangelo Russo
Abbiamo parlato nelle precedenti puntate di un progetto di valorizzazione di un immobile con grandi potenzialità di proprietà del Comune di Salerno. Il Borgo Baratta fu un lascito importante, che Salerno non ha saputo apprezzare. 140 ettari che un tempo furono produttivi ed avevano un valore economico notevole. Se, ovviamente, quel bene fosse stato curato e valorizzato con acume e progettualità. La decisione di consentire la posa, su quaranta ettari, di pannelli fotovoltaici è sembrata, nel 2011, una soluzione proficua, senza altri impegni economici di investimento da parte del Comune. Ma così non è stato: chi ci ha guadagnato, ed enormemente, è stata la società che si aggiudicò l’appalto e la gestione dell’impianto. Che, un anno dopo, fu venduta a una multinazionale estera per un prezzo (come ha scritto l’editorialista Alfonso Malangone) di 69 milioni di euro. Alla fine, il guadagno in energia elettrica per il Comune, come corrispettivo della concessione del suolo, si è ridotto quasi a zero. E in più, non è mai stato rispettato l’impegno della società concessionaria ad effettuare la ristrutturazione del Borgo per farne un polo didattico. Ne è nato un contenzioso di cui non sono noti i termini (né i tempi di soluzione). Quel che è certo, è che è pervenuto qualche mese fa un esposto alla Procura di Salerno su tutta la vicenda. E si attende che la Procura dia una risposta. Noi non possiamo che terminare il racconto della nostra visita al complesso, avvenuta una decina di giorni fa. Dunque, nella precedente puntata, avevamo detto di aver ricevuto il permesso del Direttore della Comunità Emmanuel di visitare il complesso. Dove alloggiano i ragazzi affetti da tossicodipendenza in una ala degli ex alloggi dei contadini, ristrutturata alla buona da Emmanuel, ma senza luce né acqua. E’ paradossale che un campo fotovoltaico non passi nemmeno la luce alla Associazione di volontari per l’alloggio dei ragazzi. Ma i cani, come vediamo, non stanno meglio. Si, i cani. Perché, perché sul posto c’è anche un canile municipale, non si capisce se cani salernitani o ebolitani. Una scritta a pennello, e nemmeno un cartello, indica semplicemente su un muro “Canile Municipale”. Tre o quattro cani, ringhiosi e malmessi, abbaiano quando ci avviciniamo. Povere bestie abbandonate e senza affetti. Chi se ne prende cura? C’è una convenzione con i ricoverati di Emmanuel? Dovunque, un’aria di precarietà e miseria. C’è una specie di enorme hangar (tipo quelli della seconda guerra mondiale) completamente in lamiere arrugginite dai decenni. C’è un piccolo locale in muratura, accanto, con la scritta “Officina”. E’ chiuso a chiave! L’esplorazione continua. Un basso edificio dall’apparenza di costruzione più recente è un contenitore del nulla. Nel mezzo dello spiazzo due grandi silos in cemento mostrano l’armatura in ferro del calcestruzzo. Da quando sono inattivi? Forse dagli anni ’50, o giù di lì. Ma quello che colpisce è un fracasso infernale che proviene dagli edifici in fondo. C’è un rumore continuo e assordante che proviene da un edificio all’estremità del piazzale. E’ un macchinario industriale a ciclo continuo. Chiedo a un giovane operaio che manovra se è o meno un ospite di Emmanuel intento a lavori di recupero psicologico. L’operaio mi guarda sbalordito. Non conosce nemmeno il nome di Emmanuel! Noi siamo un’industria, non c’entriamo niente con quelli là, mi risponde. Io sono più sorpreso di lui. Industria di che? domando. Di “pellets”, è la risposta. Siamo sconcertati. Ma che ci fa un’industria in una zona agricola? E chi ce l’ha messa? Ma il Comune di Salerno lo sa? L’operaio ci consente di sbirciare i capannoni dell’industria. In quelle che erano un tempo le stalle dei bovini e dei cavalli, si accumulano macchinari e imballi in gran confusione. All’esterno, sempre nell’area del Borgo, una enorme quantità di tronchi destinata alla fabbricazione di “pellets”. Che c’entra tutto questo con una comunità di tossicodipendenti, che dovrebbero alloggiare al riparo da contatti estranei agli educatori. E poi, che fine hanno fatto gli ulivi che rendevano preziosa la tenuta? In verità, il Direttore ce ne aveva indicato la posizione, almeno di una parte. Stanno raggruppati su un rialzo di fronte all’ingresso. E’ un bosco disagevole da raggiungere, e comunque non c’è segno di coltivazione e di raccolta del prodotto. Ma il ricavato dell’olio non dovrebbe andare al Comune di Salerno? Ma c’è una contabilizzazione di tutto ciò nelle venerabili stanze del Municipio? Ma c’è qualcuno, infine, che viene a controllare questo posto, nell’interesse dei cittadini di Salerno? A queste domande dovrebbe rispondere un Assessore responsabile, con un comunicato alla stampa. Ma temo che dovremo attendere, al solito, la riposta della Magistratura.