Disponibili i “Racconti con gli Smiths” per le edizioni Paguro, presentati questa sera alle ore 18, on line al Frac di Baronissi, attraverso un video, firmato da Nicola Cerzosimo
Di Olga Chieffi
Paola Bonadies, che oggi, ad un anno dalla scomparsa, ricordiamo, attraverso il suo florilegio di racconti, editi dalle edizioni Paguro, “Racconti con gli Smiths”, scriveva come nell’eco della voce irripetibile della band di Manchster. Quella forza di mito, impregnato di senso, è la sua essenza affondata nel primigenio, tra le altezze del sogno, in cui gli spiriti dell’abisso si equivalgono con gli angelici portatori di volo. Un video che potrà essere visionato alle ore 18, sui canali social del Frac di Baronissi, racchiude il segno iridescente di Paola, fatto di parola, che diviene contenitore di suono e d’immagine e pare svelarci l’intimo motivo che sottende alla sua arte: alla base del puro segno scritto vi è una previa attività visiva interna alla scrittrice, un segno nel disegno – o meglio “dal disegno” – che ricava un effetto anche estraneo al valore immanentemente semantico del segno stesso, figure, che talora, diventano un’immagine che deborda i suoi stessi confini. I racconti prendono ispirazione dai titoli dei songs più celebrati e amati degli Smiths, capaci di creare tappeti armonici tanto solidi e fantasiosi, quanto malinconici e carichi di atmosfera, uno degli emblemi degli anni ‘80, pur essendo di fatto praticamente unici, direttamente influenzati dal movimento post punk e in palese vicinanza artistica col movimento dark, rappresentante la controcultura a fronte dell’edonismo del pop e del rock. Tra musica, segno e parola nasce il “simbolo” di Paola Bonadies, quale contenitore vivo, costituito di pareti propizie, ricoperte di humus generante, incessantemente, nuove nascite e figure, il simbolo nel senso di fonte, per altre creazioni. Così, dal racconto, apparentemente più semplice e intellegibile “Some girls are bigger than others”, è nato il video, firmato da Nicola Cerzosimo, che saluta l’interpretazione, da parte di Attilio Bonadies e Andrea Avagliano, di una drammatizzazione del testo, in forma di dialogo, con un “preludio” in lingua inglese di Alessandro Bonadies. Il racconto è ispirato al mito di Melusina, una rilettura della leggenda tardomedievale, figlia d’una fata e del re di Scozia, costretta a nascondere all’amato cavaliere Lusignano la condanna ad assumere periodicamente la forma mostruosa d’un essere metà donna metà serpente, che ricordiamo anche tramandata dall’ouverture sinfonica di Felix Mendelssohn, in un’orchestrazione trasparente e fascinosa che gli conferisce un potere di suggestione intenso. La favola termina con il simbolo specchio che imprigiona il doppio cattivo di Melusina, insegnandoci il coraggio, l’azzardo di togliere “noi stessi” dalle cose che ci circondano, permettendoci di tornare alla vita: la sua sospesa ingannevole lucidità, racchiude finalmente i mostri della profondità, i loro movimenti, le loro brutture. Il video, girato nella Galleria, Sala posa Camera Chiara di Armando Cerzosimo, in Via da Procida, nella sua umbratile eleganza, gioca per sottrazione con i protagonisti, definendo, attraverso una percezione vivificante la performance. Due i contributi impreziosiscono il video, ideato e diretto emozionalmente da Tommasina Budetta, quello di Michele Citro, editore del volume, unitamente all’intervento di Massimo Bignardi, direttore del Museo F.R.A.C. di Baronissi. Il libro di Paola, come anche il precedente e quello che sarà dato presto alle stampe, attraversa miti, figure, simboli, da Oberon ad Orfeo ed Euridice, Eros, l’ippogrifo con cui Astolfo volò sulla luna a riprendere il senno d’Orlando, e ancora Enea, Achille e il suo maestro Chirone il centauro, la sirena Parthenope, Ulisse. Sappiamo che il fluttuare (tra poli, tra estremi) è simbolico: chi è in via d’apprendere, di nascere alla sua vita seconda, deve avere molto a che fare con l’elemento fluido, con l’instabile, col fluttuare, col symbolon, oscillante, mirante, ammirante. Per tutto ciò Melusina è symbolon, è fuoco e ghiaccio, spirito elementare: di fuoco mutante perché vuole amore, perché si presenta come estranea e, dunque, ha parvenza fredda, simbolo della costruzione umana di scienza, portata a questo limite affinché vi esploda il fuoco e mostri il resto dell’Uomo. Simbolo, in questo senso, è forse anche un indovinello e una fonte di indovinelli, mistero mistico, affinché si liberi la morte e rechi il frutto di una nuova nascita. La verità è “fare”, su questo e di questo nuova arte, seguendo Paola, Attilio, Massimo, Nicola, Armando, Tommasina, Michele, gli Smiths, Andrea, Alessandro, tentando insieme formule d’indicibile, immersioni nelle acque informi e nelle grotte della mente, il tuffo cartesiano “ in acque profondissime”, ritrovandoci, alla fine, rigettati sulla riva dell’umano e del senso del mondo, stringendo tra le mani un frammento di un antico cratere greco andato in frantumi, raffigurante i piedi di Ulisse incatenati all’albero maestro della navicella del suo ingegno, simbolo della passione dei nostri remoti sentieri.