Orazio Boccia vivrà sempre - Le Cronache
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Orazio Boccia vivrà sempre

Orazio Boccia vivrà sempre

di Michelangelo Russo

E’ morto l’altro ieri, all’età di 90 anni. Ma vivrà sempre, e giovanissimo, attraverso le immagini di Roberto Rosellini del secondo episodio del suo capolavoro, Paisà del 1946. Sono le immagini agghiaccianti e magnifiche della miseria di Napoli all’arrivo degli americani nel 1944. Tra i piccoli “sciuscià” che si arrabattano con gli espedienti della disperazione e della fame, c’è quello più intraprendete che si vende il soldato negro ubriaco ad un’altra banda di giovani affamati, che lo spogliano di tutti gli oggetti. Prima di essere milionaria con Eduardo De Filippo, Napoli (e Salerno con la sua costa) è stata povera e mutilata, nel fisico e nella storia, come l’occhio della cinepresa di Rossellini ci ha eternato. Come la Leika di Frank Capa ha iconizzato. E come l’arte della memorizzazione degli eventi, già da adolescente vissuti e percepiti come epici da Orazio Boccia nel 1944, ci ha lasciato per sempre. In quell’ipotetico e futuribile museo della Storia di Salerno che la politica cieca continua a negarci (perché vuole che anche noi rimaniamo ciechi), le parole di Orazio sulla fame e sull’eroismo degli adolescenti orfani del Serraglio salernitano nel 1944 hanno già da adesso il diritto di essere la didascalia illustrativa dei giorni dello sbarco e della paura di questa città nazione che fu per Salerno tra il 1943 e il 1944; capitale di uno Stato italiano che non esisteva più, e che pure rinasceva tra le spiagge del Picentino e del Fuenti, come in un presagio virgiliano. Le parole di Orazio sull’infanzia umiliata dal bisogno hanno già sfidato i decenni, e rimangono scolpite come epigrafi litografiche stampate dalla sua tipografia: sono parole espresse in un esperanto universale quale è il linguaggio di tutti i bambini del mondo oppressi e segnati dalla guerra, dai bisogni, dall’abbandono, dall’indifferenza. Da tutto il maledetto egoismo degli adulti incapaci di ascoltare la musica delle voci infantili che organizzano da soli la loro sopravvivenza.

Anziché una scontata espressione di cordoglio per il vecchio amico Orazio Boccia, io voto già da subito perché, al di là del ricordo dei suoi meriti di imprenditore geniale, il lascito testamentario del suo racconto in bianco e nero sull’infanzia bruciata dalla guerra venga traferito sui muri di una mostra permanente da allestire in una sala museale. Con il corredo delle immagini degli anni cruciali raccontati da Orazio, e con gli oggetti d’arte (quadri, ceramiche, documenti) che lascino la memoria alle generazioni future della occasione straordinaria data dalla storia alla nostra città per rappresentare la forza della capacità di rinascita dopo la tempesta perfetta che fu il biennio 1943-44. L’Avvocato Gaetano Paolino, neoeletto Presidente dell’Ordine degli Avvocati (gli faccio gli auguri e ne profitto per elogiare, col saluto, anche il vecchio amico Silverio Sica, sconfitto onorevolmente nella competizione) ha un archivio inedito di immagini della Salerno che fu. L’esordio della sua Presidenza può prendere spunto dalle mie parole per creare, nei prossimi mesi, una galleria provvisoria di un più grande progetto di ricostruzione della memoria salernitana con il contributo dell’Ordine degli Avvocati. Sarebbe una bella rinascita anche questa, considerati i meriti del secolo scorso della classe forense nella valorizzazione dell’arte cittadina. Ma voglio chiudere con qualche personale ricordo di Orazio. Ne ho tantissimi! Lo conobbi nell’autunno del 1964. Studente al neonato liceo classico De Sanctis, avevo già la vocazione del giornalista. Con gli amici coetanei anche di altri licei cittadini, costruimmo il primo giornale studentesco di collegamento con gli studenti delle altre scuole. Un abbozzo di movimento studentesco ante litteram che fece storia. Quel giornale si chiamava Noi studenti. Il tipografo che lo stampava era Orazio Boccia, con la mitica linotype archeologica dei suoi esordi in uno scantinato di via Velia. Come redattore capo, seguivo la stampa ma mi toccavano i solleciti garbati di Orazio ai pagamenti, in eterno ritardo. Per addolcire il mio imbarazzo in una di quelle occasioni mi offrì una cosa straordinaria: una sigaretta russa tratta da pacchetto rudimentale con le scritte in cirillico. Quella sigaretta aveva un bocchino di cartone assurdo, lunghissimo, e poco tabacco alla punta. Perché la si potesse fumare indossando i guantoni di pelliccia a 40° sottozero. Dai nostri debiti di editori studenti, passammo ai racconti sulla Russia. Quando Orazio scoprì che militavo nella Gioventù Comunista, ogni accenno al lungo debito collettivo passò di moda. Continuammo a stampare, pagando quando si poteva. Ma il destino di debitore impenitente doveva colpirmi ancora. Quando dalla Procura di Milano rientrai a Salerno, nei primi anni ’80, con Claudio Tringali ritrovai Orazio, ormai già storicizzato nume dell’arte grafica salernitana.

Si rinnovò un’amicizia, stavolta di lunga e intensa durata. Ora, il caso volle che io e Claudio Tringali fossimo gli animatori della ristretta pattuglia di Magistratura Democratica a Salerno. Compito che ci portava a continuare pubblicazioni e manifesti. Ovviamente stampava Orazio. Per amicizia, non ci chiese mai un soldo. Quando, con un residuo di contributi per un evento, volemmo saldare il vecchio debito, Orazio, mentendo, disse di non ricordarselo. Ci rimasero i soldi, ma non sapevamo come giustificare la giacenza di cassa: con Claudio organizzammo allora una cena al Vicolo della Neve con tutta Magistratura Democratica, per spendere quel residuo. Orazio, invitato, declinò garbatamente l’invito.

Lo ringraziammo alla fine della cena, con un brindisi finale alla sua fortuna. Credo che gli abbia portato bene quel brindisi. E’ lo stesso brindisi che gli facciamo adesso, noi di quella volta; che la Fortuna accompagni quanto hai fatto, amico nostro!