Brigida Vicinanza
«Noi costretti a condizioni disumane e mai nessuno che ne parla. Chi entra all’interno dell’esercito ne esce segnato». E’ quanto dichiarato dal giovane salernitano Dario D’Antonio, che racconta gli attimi vissuti durante il suo servizio militare a Bologna per l’operazione “Strade sicure”. Certo è che proprio l’operazione in questione segna fisicamente e psicologicamente chiunque vi partecipi, tanto da “costringere” probabilmente molti militari a gesti estremi. Così come accaduto a Roma sabato, all’interno di Palazzo Grazioli, dove Enrico De Mattia originario di Angri ha deciso di farla finita sparandosi un colpo alla tempia con la sua pistola d’ordinanza. Sono tanti i salernitani che hanno deciso di intraprendere la carriera militare ed altrettanti che hanno deciso di abbandonarla quando evidentemente il peso da sopportare era diventato troppo grande. E’ il caso di Dario, di Salerno, un giovane che ci aveva creduto “da fuori”, ma che una volta dentro ha dovuto ricredersi abbandonando le armi. «L’ambiente non mi è più piaciuto, così come molte persone che vi sono all’interno – ha dichiarato Dario – facevo servizio a Bologna nell’operazione “Strade sicure” e da lì ho potuto capire tanti meccanismi. Le condizioni in cui prestavamo il servizio erano disumane. Eravamo costretti a portare il peso di più di 30 kg addosso, sia d’inverno che d’estate, tra giubbotto antiproiettile, fucile e pistola e tutto ciò che concerne l’equipaggiamento. Per più di 6 ore eravamo costretti a stare in piedi e se d’estate volevamo ripararci dal sole dovevamo chiedere un permesso al comandante che non sapevamo quanto sarebbe stato accordato, così come d’inverno se volevamo ripararci dalla pioggia ci era consentito a turno di sostare all’interno dei mezzi per pochi minuti, mentre l’altro “compagno” prendeva l’acqua fuori». Poi Dario ha continuato: «La regola è che devi stare zitto per 6 ore, non puoi parlare a chi fa il turno con te e la tua vita e il tuo stile di vita cambia completamente portando ripercussioni a livello fisico e psichico. Venivamo trattati con disprezzo e varie persone più avanti nell’età sono state costrette a mandare certificati medici perchè dopo 6 mesi di servizio i problemi a livello fisico si fanno sentire, un poco per il peso delle cose da portare, un poco per il trattamento che ci veniva riservato – ha continuato D’Antonio – la maggioraparte dei mezzi non sono idonei poi, sulla carta magari dicono anche di sì, ma poi non è così. All’interno ti accorgi che molte cose non funzionano ma bisogna nascondere. I turni sono pesanti, anche dormire poi diventa difficile ad un certo punto e per piccole cose, tipo salire sui mezzi se vuoi riposarti un attimo eravamo soggetti a “punizioni”, ovvero i giorni di “consegna” che ti penalizzano se vuoi partecipare ad altri concorsi per l’Arma, una sorta di nota negativa sul curriculum». Dunque una pressione psicofisica, spesso difficile da mantenere quella di chi è all’interno dell’esercito e che probabilmente – nonostante tutto – dovrebbe essere rivista, per le condizioni umane di cui spesso molti si ricordano soltanto quando una tragedia come quella di Enrico De Mattia, muove le coscienze e diventa pura realtà.