Omicidio Fabio Petrone: mai fine pena per Vincenzo Villacaro - Le Cronache
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Omicidio Fabio Petrone: mai fine pena per Vincenzo Villacaro

Omicidio Fabio Petrone: mai fine pena per Vincenzo Villacaro

di Pina Ferro

Lo uccisero per farlo tacere. I giudici della suprema Corte hanno confermato l’ergastolo e, la pena a trenta anni di reclusione per il mandante e l’esecutore dell’omicidio di Fabio Petrone. Non vi sarà mai fine pena per Vincenzo Villacaro, detto Ciro, mentre Vincenzo D’Andrea dovrà scontare 30 anni. I giudici della Cassazione hanno confermato la sentenza emessa dai colleghi della Corte di appello di Salerno. Nel collegio difensivo tra gli altri gli avvocati Massimo ed Emiliano Torre. Vincenzo D’Andrea insieme a Ciro Villacaro secondo l’accusa sarebbero il mandante (Villacaro) e l’esecutore materiale (D’andrea) dell’omicidio di Fabio Petrone avvenuto nel corso della notte tra l’11 e il 12 agosto 2007, all’uscita dello svincolo autostradale di Baronissi. Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia, Petrone fu ucciso per chiudergli la bocca. Il clan Villacaro-D’Andrea temeva che rivelasse agli inquirenti inomi degli assassini di Donato Stellato, trucidato sei mesi prima dinanzi al Tribunale di Salerno. Per quell’agguato D’Andrea è già stato condannato a 30 anni, anche in quel caso in abbreviato. Era lui uno dei killer che affiancò nel traffico l’auto di Stellato, insieme a Ciro Villacaro che ha scelto il rito ordinario ed è stato condannato all’ergastolo. I due sono entrambi coinvolti anche nell’omicidio di Petrone. Sarebbe stato Villacaro, secondo le indagini, aordinare la morte dell’affiliato Petrone, irritato da qualche esternazione sull’omicidio Stellato e preoccupato della scelta fatta dall’amico Walter Castagna, che in quel periodo aveva iniziato a collaborare con la giustizia. D’Andrea raggiunse la vittima poco dopo lo svincolo autostradale di Baronissi. Sapeva che aveva lasciato da poco la casa di Villacaro, con cui aveva cenato, e sapeva che sarebbe arrivato in moto per raggiungere l’abitazione della sorella ad Antessano, dove si era trasferito proprio per il timore di essere ucciso.