Trecentodiciassette pagine per motivare le ventidue assoluzioni, contenute nella sentenza dello scorso 28 settembre, del processo Crescent. Sono state depositate nella giornata di ieri e recano la firma dei giudici Vincenzo Siani, Antonio Cantillo ed Ennio Trivelli. Un lungo processo che ha visto imputate 22 persone: oltre al presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, dinanzi ai magistrati si sono presentati amministratori ed ex amministratori del Comune di Salerno (Eva Avossa, Gerardo Calabrese, Luca Cascone, Luciano Conforti, Domenico De Maio, Augusto De Pascale, Ermanno Guerra, Aniello Fiore, Vincenzo Maraio e Francesco Picarone); funzionari della Soprintendenza ed ex soprintendenti (Giovanni Villani, Giuseppe Zampino e Anna Maria Affanni); attuali ed ex dirigenti comunali (Lorenzo Criscuolo, Davide Pelosio, Matteo Basile, Nicola Massimo Gentile e Bianca De Roberto) e imprenditori (Eugenio Rainone, Maurizio Dattilo e Rocco Chechile). Nelle motivazioni, i giudici hanno sottolineato come non vi sia stata la prova che l’allora sindaco di Salerno, e ispiratore del condominio privato sul mare, Vincenzo De Luca abbia istigato a redigere atti illegittimi per la realizzazione del Crescent. Allo stesso modo, non sono stati raccolti – secondo il collegio giudicante – dati probatori utili alla contestazione del reato di abuso d’ufficio. Per lo stesso De Luca è andato in prescrizione il reato di falso. La posizione dell’ex primo cittadino di Salerno, secondo i tre giudici, non ha presentato alcuna anomalia: interessato sì ma non è stato messo in atto alcun comportamento volto a interferire con le decisioni della Soprintendenza. «Pur essendo emerso in modo chiaro il forte interesse dell’esponente politico all’approvazione del progetto di intervento edilizio, al quale assegnava un valore pregnante sotto il profilo politico tra gli obiettivi della sua stagione amministrativa – si legge ancora nel corposo testo – non c’è riscontro dell’intervento di De Luca come istigatore verso gli esponenti di vertice del Comune, ed ancor meno nell’incidere sull’operato di quelli della Soprintendenza, al fine di spingerli ad adottare atti». Nessun elemento per sostenere l’abuso di ufficio contestato, tra l’altro agli esponenti dell’ex giunta De Luca. «A parere del collegio non stati raccolti dati probatori bastevoli per consentire di affermare che i comportamenti illegittimi fossero finalizzati a far conseguire agli aggiudicatari dei diritti edificatori del Crescent un vantaggio patrimoniale». Non c’è distinzione tra interesse pubblico e quello politico: «E non necessariamente si pone in contrasto, non potendo considerare l’interesse politico in modo meccanicistico come un utile privato, volto ad un ritorno spicciolo di tipo elettoralistico». Prescrizione per il reato di falso anche per l’ex soprintendente Zampino e per il funzionario incaricato, Giovanni Villani; la loro posizione, però, sarebbe diversa perché – si legge nelle motivazioni – non sussistono «i presupposti per l’assoluzione, essendo stata raggiunta la prova positiva della loro colpevolezza». Nello specifico, il riferimento è al silenzio-assenso tramite il quale è stata rilasciata la prima autorizzazione paesaggistica, ritenuta poi illegittima e annullata dal Consiglio di Stato in seguito ai ricorsi di Italia Nostra e No Crescent. Un silenzio-assenso maturato in seguito alla scadenza dei termini di 60 giorni per gli eventuali riscontri da parte del comitato tecnico scientifico del Ministero. Un atto che per i giudici è «certamente ideologicamente falso, in quanto il comitato non aveva mai ricevuto la trasmissione degli atti».
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