La prigionia è il più doloroso dei redde rationem. Se il corpo si vede privato dell’autonomia, l’anima è inchiodata ai propri limiti, ai timori, a ciò che avrebbe preferito lasciare sepolto e che torna prepotentemente alla luce. È il lato umano della storia nel momento cruciale in cui tutto è messo in gioco a essere al centro di “Confinati a Ponza”, lo spettacolo che ha concluso con successo la seconda edizione di Out of Bounds, la manifestazione promossa dall’Officina Teatrale Laav di Licia Amarante e Antonella Valitutti. Il testo di Alberto Gentili, diretto e interpretato nei panni del Duce da Francesco Maria Cordella, racconta la reclusione di Mussolini all’indomani del crollo del fascismo: condizione condivisa da Pietro Nenni per la sua opposizione al regime. “Confinato nell’isola dei miei confinati!” esclama con amaro sarcasmo il dittatore, che Cordella mette sapientemente a nudo nelle sue inquietudini, sospeso nella cupa incertezza con cui guarda alla sua sorte e riluttante nel prendere atto di una fragilità che fa inesorabilmente a pezzi i suoi sogni. La messinscena si basa su pochi elementi: il tavolo, le sedie, il modesto cucinino della stanza in cui i fasci di luce ritagliano le figure sullo sfondo di un buio claustrofobico (la sensazione della gabbia in cui ogni coordinata temporale si annulla è avvertita dal pubblico con estrema precisione). La recitazione nervosa e trepidante di Stefano Onofri restituisce un Nenni profondamente credibile nell’oscillare tra l’emozione di sapersi a breve libero e l’immenso dolore con cui ha pagato il suo tributo alla lotta, tra l’odio per l’operato di Mussolini e il ricordo di un’amicizia che era stata per entrambi preziosa. Carmen Di Marzo è la cuoca attenta e amorevole che si occupa di entrambi e che nella sua disarmante semplicità diviene una sorta di angelo custode, che supera con ostinazione le difese che i due prigionieri costruiscono per non dovere ammettere quanto sarebbe importante guardarsi negli occhi ora che nulla potrà più essere come prima. L’apparizione di Antonella Valitutti che ricorda il coro delle tragedie greche è l’unica trasgressione a una messinscena che si preoccupa costantemente della verosimiglianza ed è motivata dal bisogno di interrogare le segrete ragioni della giustizia e della vita. Il grido con cui Nenni reagisce alla partenza di Mussolini non cancella ciò che è accaduto. Esistono distanze che non si potranno mai colmare, ma questo non annulla il bisogno di percepirsi uomini al di là di tutte le ferite ricevute e inferte.
Gemma Criscuoli