di Rosanna Di Giuseppe
Un viaggio straordinario nella musica dell’ultimo Mozart ha offerto il prestigioso ensemble Les musiciens du Louvre, il giorno 24 luglio scorso sul belvedere di villa Rufolo all’interno del Ravellofestival in corso, eseguendo i tre ultimi capolavori sinfonici del genio di Salisburgo, la Sinfonia in Mi bemolle n.39 K543, la n.40 in Sol minore K550, infine la “Jupiter”, n.41 in Do maggiore K 551, tutte composte in un breve arco di tempo, nel 1788 e non destinate a uno scopo immediato, in anni economicamente non facili per il musicista, segnando l’ultima conquista del genere sinfonico, sempre più sottratto ad aspetti esteriori dettati dal mercato musicale e invece assimilato ad una esplorazione interiore affidata a forme agili, perfino nell’ultima, innegabilmente dotata di una sua monumentalità, vicine ormai al mondo “avanzatissimo” della musica da camera grazie a un notevole approfondimento del linguaggio armonico. Il direttore nonché fondatore storico del gruppo (1982), Marc Minkowski, si è distinto per vitalità, duttilità fremente ed esuberanza, conducendo il complesso orchestrale in un’esecuzione ricca di energia e sfaccettature, capace di evidenziare i contrasti dinamici, le elaborazioni tematiche, le inflessioni drammatiche o luminose dei decorsi musicali. Della prima, considerata l'<<l’Eroica>> mozartiana, che il direttore ha definito “massonica”, influenzata da Michael Haydn, fratello minore di Joseph, oltre che da quest’ultimo, dotata di momenti cupi ma anche di luce, “prospettica” per la ricchezza di angolature, l’esecuzione ha reso i ritmi marziali sottolineati da trombe e timpani, i toni oscuri, le insistie dissonanze del pessimistico Adagio introduttivo per lasciare poi spazio alla cantabilità del tema dell’Allegro non privo di contrasti drammatici, alla cordialità apparentemente haydniana dell’Andante pronta a cedere il posto a sonorità più introspettive e inquietanti con modulazioni ardite ed effetti timbrici nuovi giocati fra i legni, da cui sono esclusi gli oboi sostituiti dai clarinetti, e gli archi, alla festosità del Minuetto seguito dall’elegante Trio e infine all’allegrezza illusoria di un finale presto piegato ad una espressività meno solare ma calda. Per la celebre sinfonia in Sol minore, che il direttore ha annunciato come “teatrale” e “nobile”, “angosciata” e a suo dire un po’ “napoletana”, evidentemente alludendo al suo patetismo, priva di trombe e timpani, ma completa nei legni, il complesso orchestrale ha perfettamente reso quella fusione celata di “galante” e “dotto” cratteristici di quest’opera, per citare Einstein, così come della precedente. Di grande fascino il primo movimento, con il suo tema inesorabile e ripetuto in un flusso continuo in maniera ostinata attraverso le varie sezioni incalzanti in senso ascendente e perfettamente dialoganti tra loro, con giochi sottili fra archi e fiati e corni in evidenza, da cui è scaturito appieno il carattere preromantico di questo lavoro. A qualcuno ha richiamato alla mente la winkelmanniana “inquieta serenità” , che attira in insondate profondità dietro la scorrevole leggerezza. Si sono succeduti quindi il più calmo e cullante Andante, il drammatico, quasi “tragico” Minuetto in contrasto con la dolcezza del Trio, l’irruente ‘Allegro assai’ conclusivo di cui i musicisti hanno saputo tenere viva la tensione e la ferita aperta, con la precisione e consequenzialità serrata degli interventi strumentali nello sviluppo, in un tutto omogeneo reso denso da procedimenti contrappuntisci resi con “veemeza” e aggressività assolutamente nuove, ormai lontane dal mondo haydniano. A tanta nobile drammaticità è subentrata la luminosità della “Jupiter” con il suo smagliante Do maggiore, per Minkowski addirittura “wagneriana” per la grandezza. Si è evidenziata l’ esaltazione della forma sonata in ciascuno dei quattro movimenti, in una sintesi grandiosa di presente e passato, una volta che, proseguendo un percorso già iniziato nei due precedenti lavori, il linguaggio sonatistico è intrecciato e sostanziato con il contrappunto e i procedimenti fugati. Abilissimi gli esecutori a seguire con sensibilità, dietro il gesto perentorio del loro direttore, i percorsi complessi della scrittura musicale rendendo il tono epico del primo movimento, il sublime e l’espressività dell’Andante cantabile, il tema aggraziato del Minuetto che entra sottovoce, in punta di piedi per essere ripetuto in forte e poi in eco dai legni, fino al Trio che apre al costruito finale capace di esiti trascendentali nella estrema sapienza musicale messa in campo dal compositore attraverso la costruzione polifonica di tutti gli incisi e materiali musicali culminante nella Coda. Si è trattato di un vera e propria escursione nel modo mozartiano e della grande musica, condotta con entusiasmo e aperture a scoperte sempre nuove e inesauribili come quelle della grande arte, fortemente apprezzata dal pubblico