Una giornata emozionante, quella di ieri, per la chiesa cattola. Visibilmente emozionato anche Monsignor Raimo: “Ho cercato invano di raccogliere e ordinare pensieri sparsi che in questi giorni affollano la mia mette e si rincorrono confusamente, suscitando sentimenti spesso contrastanti. A rendere più solido il timore che è andato crescendo con l’avvicinarsi della data odierna, le parole del cardinale Martini il quale affermava che quando uno è stato chiamato al ministero della presidenza episcopale, viene posto in qualche modo sopra un candelabro e deve dare il buon esempio a tanti, soprattutto ai sacerdoti. Mi è di conforto la prospettiva di poter continuare a servire la Chiesa che è in Salerno-Campagna-Acerno in continuità con quanto ho cercato di fare nei miei 34 anni di vita sacerdotale, soprattutto in questi ultimi 4 anni in qualità di Vicario Generale della Arcidiocesi. – ha detto – Ringrazio di cuore il nostro Arcivescovo Monsignor Bellandi di avermi offerto questa opportunità, riponendo la sua fiducia in uno sconosciuto, e ancora di più per avermi confermato nel servizio dopo avermi conosciuto. Se nel primo caso ha chiuso un occhio, nel secondo li ha chiusi entrambi”, ha aggiunto sorridendo. “In questo tempo è stato motivo di disorientamento ed imbarazzo, cari confratelli, il dato che spesso è emerso dal giorno dell’annuncio della mia nomina, da parte del Pontefice, relativo agli anni trascorsi dall’ultima consacrazione episcopale di un presbitero della nostra arcidiocesi. Mi accompagna da allora il ricordo di tanti sacerdoti che per attitudine pastorale, profondità di dottrina e santità di vita sarebbero stati più degni di stare al mio posto. La domanda sorge spontanea. Perché a me? Consapevole dei miei evidenti limiti e delle fragilità emerse nel corso dei tanti anni di vita sacerdotale e di impegno pastorale, posso sinceramente confessare che non ho mai desiderato l’Episcopato. Pur sforzandomi nel ripercorrere con la memoria i miei impegni passati non trovo meriti, o, almeno, non ne trovo più dei miei confratelli sacerdoti. Il cardinale Martini in un celebre libretto dedicato all’Episcopato scrisse: tra gli uomini esiste una debolezza chiamata ambizione dalla quale è importante sapersi difendere il più possibile. Pregate per me perché l’ambizione che mi è mancata non assuma le fattezze della presunzione e della ostentazione. Non trovo in me alcun merito (spero di non peccare di falsa modestia) e dovendo trovare un motivo di tale elezione, trovo conforto nelle espressioni utilizzate da S. Leone Magno: Egli, affinchè io molto lo ami, mi ha perdonato molto: e per mostrare mirabile la sua grazia ha elargito i suoi doni a colui nel quale non ha trovato titoli di speciale merito. Se proprio un merito devo trovarlo non lo trovo in me, ma in tutti coloro che nel corso della mia sacerdotale mi hanno sostenuto con la costante preghiera, incoraggiato, perdonato, soprattutto i membri della tre comunità parrocchiali che mi sono state affidate e a cui è stata affidata la cura e la crescita del mio Ministero – incalza Monsignor Raimo- Continuate a pregare perché non cada su di me il rimprovero di S. Gregorio Magno il quale biasimava l’ignavia di alcuni che, pur avendo assunto l’ufficio sacerdotale (in questo caso episcopale), non compiono le opere che l’ufficio comporta”.
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