Di Olga Chieffi
Evento speciale domani sera, per la LXII edizione del Ravello Festival, firmato da Maurizio Pietrantonio. Alle ore 20, sul Belvedere di Villa Rufolo, il pianista Michele Campanella e lo scrittore Maurizio De Giovanni terranno un concerto reading che porrà al centro della performance la Sonata in Si minore di Franz Liszt composta tra il 1852 e il 1853, quell’ “oggetto straordinario”, la monumentale e proteiforme pagina dedicata a Robert Schumann. Un lavoro che colloca il compositore quale geniale promotore delle più ardite tecniche di scrittura di pieno Ottocento, vulcanico ideatore di nuove possibilità di formulazione di architetture formali, propositore di un ruolo protagonistico del pianoforte che sta al centro della scena e suona con i colori e le possibilità inusitate di un’orchestra, quasi ne fosse clone spettacolare e dirompente. Libertà formale, dunque, mancanza di strutture obbligate, capacità strabiliante di variare ed elaborare il materiale tematico, che diviene magmatico elemento di permutazione, permettono a Liszt di costruire un edificio musicale assai articolato, con molti movimenti interni e più idee, spunti, temi e motivi, che trapassano da una sezione all’altra. La costruzione stessa della Sonata (la quale non è in un “tempo” solo, come comunemente si afferma, bensì fa seguire l’uno all’altro senza interruzioni e quasi estrae, a poco a poco, dal flusso di un discorso senza pose, i classici momenti dell’Introduzione-Adagio, dell’Allegro, dell’Adagio di mezzo, dello Scherzo e del Finale); desunta da tre temi che vengono immediatamente esposti al principio del lavoro, nel giro di sole quindici battute, corrisponde a un piano d’ordine psicologico, assolutamente nuovo. Così dicasi del libero ordinamento nelle successioni modulative; dell’inserzione di un recitativo, posto a rompere il declamato di una frase melodica, grandiosamente scandita, dell’idea di ottenere un “soggetto di fuga” dalla somma del secondo e terzo tema iniziali. Come appare chiaro, molti fra gli atteggiamenti qui ricordati si erano già visti negli ultimi Quartetti e nelle ultime Sonate beethoveniane: Liszt, però, spinse i dati del suo predecessore fino alle ultime conseguenze, appunto perché, nel suo concetto, i diritti del pensiero, i diritti dell’immaginazione intesi in senso assoluto, erano ben più forti dei diritti esclusivamente musicali.
Indagando le caratteristiche strutturali e formali ed evidenziando la straordinaria ricchezza simbolica del capolavoro lisztiano, uno dei più enigmatici e visionari monumenti del pianismo romantico, Campanella e De Giovanni, daranno una lettura inedita e potente della Sonata, metafora dell’indagine sulla complessità dell’essere umano, con i suoi slanci, le sue contraddizioni e seduzioni e la sua inafferrabile difficoltà tecnica, la complessità psicologica, il fascino irresistibile emesso da questa musica ancora oggi, fanno della Sonata in Si minore l’unicum che ha ispirato il racconto dello scrittore, “Le mani grandi”.
Sorprendentemente lo scrittore napoletano andrà a toccare un aspetto della vita di Liszt di solito trascurato o omesso. Liszt, infatti, si sposò con una donna di sei anni più anziana di lui, Marie d’Agoult, che gli darà tre figli. Alla fine del 1843, Liszt e Marie d’Agoult si separano, poichè Marie non può più tollerare le continue scappatelle del marito, la Lisztomania, come scrisse Heine, aveva coinvolto, infatti, tutti gli uditori europei, in particolare quelli femminili. Dopo un burrascoso confronto legale, Liszt riuscì ad aggiudicarsi l’affido dei figli, che poi lascerà alle cure di sua madre, Anna Liszt. L’ispirazione del racconto viene proprio da questa sua triplice paternità, la morte precoce del figlio Daniel, la consapevolezza di non essere stato per lui un padre attento e disponibile. Su questo lato della complessa personalità del musicista ungherese, de Giovanni costruisce l’ipotesi suggestiva di un collegamento tra la morte di Daniel e i contenuti emotivi della Sonata in Si minore, ambientandola nell’atmosfera esoterica così presente nella sua scrittura, non trascurando uno sguardo agli interpreti che si avvicinano alla Sonata con il giusto timore reverenziale che essa esige, suggerendo, tacitamente la strada giusta per abbassare l’asticella delle ansiogene difficoltà tecniche che il testo propone: esse non sono create fini a se stesse, sono invece il ponte che unisce la sponda dell’arte musicale a quella della vita, su quest’ultima, nel dolore del figlio perduto, va cercato il superamento delle asperità che possono essere intese come mere sfide tecniche.