All’indomani del giorno dedicato alle donne, Mutaverso Teatro ospiterà al centro sociale di Salerno, stasera alle ore 21, lo spettacolo per attrice e pupazze “La semplicità ingannata”
Di OLGA CHIEFFI
La veneziana Arcangela Tarabotti, figura della prima metà del XVII secolo, entrò giovanissima nel monastero benedettino di Sant’Anna, in Udine, dove trascorse tutta la vita, benché consapevole che non religiosa ma squisitamente letteraria fosse la sua vera vocazione. Autodidatta e combattiva, non ripiegò all’ombra delle grate, nel silenzio della clausura, ma mise il proprio talento scrittorio al servizio di una battaglia civile e collettiva: la denuncia delle ragioni profonde sottese al fenomeno delle monacazioni forzate; la messa in discussione del contesto politico, sociale ed economico maschile responsabile dell’ingiusta oppressione della donna; la rivendicazione per quest’ultima di libertà ed emancipazione, nella sua opera “La semplicità ingannata”. All’indomani della Festa della Donna, il cartellone di Mutaverso Teatro, firmato da Vincenzo Albano, ospiterà questa sera, alle ore 21, nell’abituale cornice del Centro Sociale “R. Cantarella” Marta Cuscunà, friulana, classe 1982, autrice e regista, menzione speciale come attrice emergente al Premio Duse 2012, che riprende nella sua piéce teatrale, per attrice e pupazze, sul lusso d’esser donne, l’opera della Tarabotti, in cui convive la tematica claustrale e femminista, a ribadire l’urgenza del binomio culturale ed esistenziale su cui si accesero i riflettori sin dal Cinquecento. La scrittura drammaturgica basata sulla documentazione attenta e sulla messa in relazione di testo e personaggi interpretati e animati dalla stessa Cuscunà, che si affida al teatro visuale appreso alla scuola di Joan Baixas, produce uno spettacolo molto comunicativo e leggibile a diversi livelli.
Nel Seicento il patrimonio delle famiglie nobili si trasmetteva al primogenito, non era suddiviso fra tutti i figlie e le figlie. Come potevano mantenersi gli altri figli? e mantenersi in un rango tale da non far sfigurare la famiglia? I maschi avevano qualche possibilità di scelta: la carriera militare, la carriera ecclesiastica, mettersi al servizio del primogenito, arricchirsi per conto proprio. Le femmine non avevano alcuna scelta, non esisteva carriera per loro e certo nessun mestiere, solo il matrimonio. Molto spesso succedeva che qualche figlia fosse costretta a farsi monaca, anzi la monacazione era il destino più o meno obbligato di tutte le figlie “di famiglia” che non potevano avere una dote per maritarsi. L’esempio del gruppo di quelle clarisse, un vero capolavoro di libertà, che è riuscito a resistere per molti anni – con il sostegno delle famiglie, interessate al buon nome, e della comunità – per poi essere soffocato dalla chiesa, attraverso l’Inquisizione che per batterle sul campo le ha separate, deve riaccendere le Resistenze Femminili di oggi. Divenire movimento ben organizzato, appropriandosi della cultura scientifica del tempo e perciò della razionalità, tradizionalmente appannaggio degli uomini e della Chiesa, in contrasto con il sapere religioso e il dogma subito dalle donne. Gli uomini hanno usurpato un gran vantaggio sulle donne, scrive la Tarabotti, nella sua Antisatira “escluse non solo dai lumi delle dottrine e delle belle lettere ma perfino dal poter apprendere a leggere”. Un astuto artificio per escluderle da ogni partecipazione alla vita sociale. Il male è che, “se la superficie dell’ornamento dell’ uomo non meno di quello femminile è sontuosa e vaga, l’ anima e il corpo sono sozzi e difformi per mille colpe e vizi”, primo fra tutti i maltrattamenti e i soprusi cui sottopongono le donne in seno alla famiglia, le donne spesso eccedono nel lusso, ma certamente gli uomini non sono da meno. “Non mancano esempi infiniti d’ uomini, vani, lascivi, dediti alle capigliature, ai belletti, agli odori, ai profumi e a tutte quelle cose biasimate con tanta detestazione nelle donne”. La Tarabotti si dilunga poi sui lussi spropositati degli uomini del Seicento, “vanissimi pavoni”, “con arte inanellati, profumati e impolverizzati alla francese”. E non vi vantate uomini, ammonisce la Tarabotti in questo libretto pieno di veleni, “delle vostre capigliature imbiondate e ricciate, per vituperio vostro rapite da interessata mano al cadavere di qualche bella donna” alla quale, dopo i maltrattamenti in vita, viene usata violenza anche dopo la morte per fabbricare parrucche per il lusso degli uomini. Una resistenza al femminile quella della suora che usava quale pseudonimo Tarab che accese i riflettori su di un problema apparentemente ormai lontano per noi, la monetizzazione della figura femminile, anche per entrare in convento, come ieri, così oggi.